Imu sui terreni agricoli di bassa valle

Anni fa, quando da parte di qualcuno era di moda parlare di “valori non negoziabili” riferendosi spesso a discutibili norme etiche, un uomo di fede aveva fatto osservare che per il cristiano i valori davvero irrinunciabili si possono riassumere in due sole parole: l’onestà e la fraternità.  
Condivido pienamente questa affermazione, anche perchè i due termini messi insieme comprendono l’intera gamma dei comportamenti relazionali, morali e personali e rendono inutili ulteriori dettagli e norme spicciole.
La prima di queste parole, l’onestà, è la condizione per poter avere buone relazioni reciproche e permette il gradino successivo, quello che possiamo declinare con termini diversi: fraternità, amore, giustizia, amicizia. Senza onestà non può esistere un buon rapporto e questo vale a tutti i livelli ed in entrambi i sensi, anche quindi fra lo stato e i cittadini e viceversa.
I cittadini devono avere la coscienza di far parte di una collettività in cui ognuno è responsabile di tutto e di tutti e deve contribuire secondo le sue possibilità al buon funzionamento dell’insieme, e lo stato può pretendere onestà solo dimostrando di non trattare i cittadini come sudditi e di non avere come ragione sociale la continua fregatura dei contribuenti.
Sono convinto, nonostante tutti i luoghi comuni sugli italiani, che la maggior parte dei cittadini si comporti in maniera onesta. Purtroppo, lo stato, sicuramente, non ricambia.
Ne è prova la recente norma che estende l’Imu sui terreni agricoli ai paesi montani di altitudine inferiore ai 600 metri. Ennesimo condensato di improvvisazione, leggerezza e tracotanza da parte dell’amministrazione fiscale, col consueto balletto del fare e disfare e con la gravissima aggravante della retroattività.
Neppure nei secoli bui del medioevo si imponevano tasse retroattive. E’ contrario alla logica, all’onestà, al diritto. In altre parole è un furto, ma soprattutto è una gravissima rottura del rapporto di reciproca onestà che deve esistere fra stato e cittadini.
La rottura del clima di fiducia fra cittadini e istituzioni è la vera grave emergenza dei tempi attuali. Più del calo delle borse, del crollo del petrolio, della crisi economica, del PIL negativo, della bilancia dei pagamenti in rosso, del giudizio dei mercati, del voto delle agenzie di rating, degli ordini della Merkel e delle opinioni di Bruxelles. Tutte cose che per natura vanno e vengono, salgono e scendono, diminuiscono e crescono, si perdono e si ritrovano. Al contrario della fiducia, la cui perdita ha qualcosa di irreversibile e di irrimediabile. Se tradisco la fiducia di qualcuno, spezzo un filo che col tempo potrò anche cercare di riannodare, ma non si potrà mai più ricreare l’integrità del legame originale.
Questa irreparabilità della fiducia tradita, su cui dovrebbero riflettere i nostri governanti se pensano di restare al timone a lungo, ha ancora più evidenza per chi ha radici contadine, montanare e piemontesi. È una questione di storia e di retroterra culturale. È il concetto dell’essere galantuomo, dell’onore nel senso alto del termine, della sacralità della stretta di mano, dell’impegno preso, della parola data.
Per questo la norma che estende l’Imu agricolo ai paesi di bassa quota è ben peggio dell’ennesimo salasso fiscale e avrà conseguenze che forse neppure la nostra classe dirigente distratta e parolaia può immaginare.
In questi giorni ne hanno parlato, con toni diversi, alcuni esponenti politici, fra cui il sottosegretario all’agricoltura Andrea Olivero, nostro concittadino.
Si sono spese molte parole per puntellare un provvedimento sbagliato che occorre semplicemente cancellare, con ipotesi fantasiose e inapplicabili capaci solo di aumentare il carico burocratico e la confusione, come valutare i terreni in base alla pendenza o altre amenità. Non si è fatto cenno invece, come capita sempre più spesso, agli aspetti vitali del problema e ancor meno agli immancabili retroscena.
Vediamo di rimediare, cominciando dalla considerazione più ovvia. Per applicare con correttezza una tassa fondiaria occorre avere un buon Catasto, fedele e aggiornato. Lo sapevano già cittadini e autorità sabaude fin dal 1600 e nei nostri comuni sono conservati decine di esemplari di poderosi registri fondiari, a testimonianza dello sforzo per arrivare a mettere a punto questo fondamentale strumento di conoscenza del territorio e di giustizia contributiva.
Il Catasto Terreni dello stato italiano, nato appena dopo l’unità d’Italia sull’impronta dei Catasti sabaudi, era davvero ottimo. Il verbo è al passato, perché dopo decenni di incuria è adesso uno strumento inaffidabile e pressoché inutile.
Frutto di un lavoro certosino, accurato e pignolo durato decenni, in un periodo in cui il maggior gettito fiscale per l’erario arrivava dall’agricoltura, il Catasto terreni è stato lasciato andare alla deriva quando lo stato si è accorto che i tempi erano cambiati e rendeva molto di più tassare le case. Le “lustrazioni”, verifiche periodiche fatte a cura dell’amministrazione che servivano a tenere aggiornati i documenti, costavano e non rendevano abbastanza, anzi, erano controproducenti per l’erario, soprattutto in montagna. Terreni abbandonati da decenni continuano così ad essere classificati come prati, seminativi, frutteti, castagneti con le relative maggiori rendite. Lo stato, prontissimo quando si tratta di pretendere aumenti, non è altrettanto veloce ed efficace nel caso opposto. Per questo l’intera fascia montana, soprattutto di bassa e media valle, ha qualità e classi catastali completamente inadeguate alla realtà e molto più alte di quella che dovrebbe essere l’effettiva rendita.
Così non solo pagheremo, ma pagheremo molto di più del dovuto, per colpa dei mancati aggiornamenti. Col salasso dell’imu su terreni agricoli ci sarà la corsa a rettificare qualità e classi, con ulteriore esborso dei contribuenti che si dovranno accollare il lavoro non fatto nel tempo dallo stato, pagando a quest’ultimo ulteriori balzelli per effettuare le operazioni. Come sempre, il danno e la beffa.
Ma vi sono anche altre considerazioni che appesantiscono ulteriormente il quadro.
Siamo nell’anno dell’agricoltura famigliare e chi tenta di governare il settore agricolo dovrebbe capire che il mondo rurale non è fatto solo di professionisti, soprattutto in collina e montagna. Le nostre basse valli non sono ancora completamente degradate solo grazie al lavoro di famiglie di “non coltivatori” che si sono ostinate a continuare a fare il fieno, pulire i castagneti, potare gli alberi da frutta. Fra un turno e l’altro in fabbrica, dopo le ore di ufficio o le faccende di casa, rubando tempo al riposo, alle vacanze, alle relazioni. Contro ogni convenienza economica, contro una burocrazia arrogante, invasiva e stupida, contro la cecità dei politici che vedono solo i professionisti del settore e la presupponenza di tutti coloro che vogliono dettar legge senza aver mai chinato la schiena a lavorare davvero e senza rendersi conto di quanta verità ci sia nel detto piemontese che avverte che “la tera l’è basa”.
Le nostre basse valli, inoltre, erano storicamente più povere di molti comuni in quota, ricchi di ampi pascoli e con minore pressione demografica. Si vede anche dall’architettura rurale, con case molto più modeste rispetto a quelle delle borgate di alta valle, si capisce bene anche leggendo le opere di Nuto Revelli. Non quindi aree privilegiate per la vicinanza alla pianura, ma aree depresse, in cui la povertà è sempre stata ben più drammatica che nei paesi alti.  
Altra ciliegina sulla torta: la norma che estende l’Imu ai comuni montani di bassa quota pare serva a raschiare dal fondo del barile i soldi necessari alla distribuzione dei famosi 80 euro, specchietto per le allodole in salsa elettorale dell’attuale premier. Come a dire che ogni possessore di terreno agricolo dovrà contribuire obbligatoriamente e retroattivamente alla vittoriosa campagna elettorale di chi ci governa. Da non dimenticare alla prossima scadenza elettorale.
Visto da un’altra angolazione, si potrebbe dire che la coperta è corta e per fare stare al calduccio qualcuno si decide di lasciar congelare tutti gli altri. Ma a forza di tirarla, la coperta, soprattutto se già rammendata mille volte, finisce per strapparsi e non scaldare più nessuno, neppure più l’incauto accaparratore.
I regali di Natale dello stato italiano sono stati quest’anno particolarmente pesanti: Tasi, Imu, Tares, Iuc si sono mangiate la tredicesima e qualsiasi speranza di ripresa. Per iniziare bene il 2015 ci aspetta, a gennaio neppure finito, la botta retroattiva dell’Imu agricola. Non so ancora se la pagherò. Di sicuro, so chi non voterò alle prossime elezioni.

Pubblicato su La Guida del 2 gennaio 2015