Dubbi e certezze

Nel mare di dubbi e confusione organizzativa che circonda le imminenti elezioni, alimentato dal quotidiano giochetto dei sondaggi (usati spesso più come pubblicità occulta che come reale termometro della volontà popolare) galleggiano, come isolati relitti, alcune poco rassicuranti certezze. Provo ad elencarle.
Di sicuro, stiamo vivendo una campagna elettorale fiacca e sfiduciata, lontana dalla gente e dai problemi del vivere quotidiano, che si gioca molto nei salotti televisivi e poco nelle piazze. Attori stanchi e pubblico disattento – per non dire disgustato – credibilità ai minimi storici, facce troppo note o del tutto sconosciute, collezionisti di avvisi di garanzia, parenti fino al sesto grado e amici degli amici, soci in affari, imbonitori resuscitati e comici inaciditi.  Una campagna spesso urlata, in cui le ragioni sono inversamente proporzionali al volume delle voci e in cui perfino i sorrisi dai rari cartelloni elettorali paiono incerti o beffardi, spesso addirittura offensivi per chi fatica a trovare nel quotidiano motivi per sorridere.
Di sicuro, le elezioni hanno perso il loro ruolo di momento determinante di scelta e di partecipazione democratica. Quella che dovrebbe essere un’occasione di impegno civile per candidati e sostenitori e di “festa” per i cittadini – per la gioia di scegliere, di contare, di appartenere a un popolo che, dopo aver faticosamente e drammaticamente conquistato la democrazia negli anni della Resistenza, la esercita, la vive e la custodisce – sembra ridotta a uno scontato, costoso e inutile cerimoniale.
Di sicuro, il governo uscente, benché forte di larghi consensi trasversali e prodigo di provvedimenti anche molto pesanti nei più disparati settori del vivere quotidiano, non ha saputo o voluto affrontare la grande, vera emergenza: quella di restituire il voto ai cittadini, espropriato da tempi ormai remoti dalla peggior legge elettorale del mondo democratico: quella che lo stesso estensore, non si sa se in un momento di onestà o per inveterata abitudine al turpiloquio, ha definito una “porcata”.
Una legge che ci priva ormai da troppi anni della possibilità di scegliere e che di fatto, svuota le elezioni del loro primario significato, contribuendo in modo determinante all’eclissi della democrazia.
Un grande partito sta facendo una capillare campagna per il voto “utile”, identificandolo, naturalmente, con quello posto nelle immediate vicinanze del proprio simbolo. Ammissione implicita del fatto che il sistema è congegnato per rendere spesso “inutile” l’espressione reale della volontà del cittadino. Utile, per me, è il voto dato a chi credo meriti fiducia, a chi delego a rappresentarmi, a chi rivolgerò appelli e proteste, se eletto, perché continui a esercitare il potere in nome mio.
Di sicuro, ci sarà un vincitore alle prossime elezioni: l’astensionismo, figlio naturale del disgusto e della rabbia ridotta a frustrazione. E viene il sospetto che sia proprio quel che vuole questa classe politica, ispirata dalla massima da targhetta tranviaria: “non disturbare il manovratore” e dal principio della conservazione del potere, che in Italia sembra ancor più valido del postulato di conservazione dell’energia su cui si basa la fisica.  
Per questo non mi aggregherò alla schiera dei renitenti: andrò a votare. Per dovere di speranza e volontà di ottimismo, più che per obbligo civico.
Per fare dispetto ai burattinai più o meno occulti che vorrebbero trasformare i cittadini in sudditi inoffensivi, distratti da calcio e inebetiti dalla televisione o prigionieri del mondo virtuale di Twitter (wow!) o Facebook.
Per rispetto a nonni e padri che hanno lottato e sono morti per regalarci la possibilità di vivere in un paese democratico. Perché il giorno della Memoria, celebrato poco fa, non rimanga uno sterile esercizio, ormai inoffensivo, di commemorazione storica di un evento sempre più lontano.
E la memoria, quella spicciola, con la “m” minuscola, è davvero utile, in tempo di elezioni, per mettersi al riparo da promesse e ammiccamenti, da sorrisi e pacche sulle spalle, da improvvisi trasformismi e dalle maschere bonarie che tutti i candidati tendono a indossare per l’occasione. Prima di entrare in cabina è meglio, come si faceva aspettando l’interrogazione o l’esame, fare un breve ripasso mentale, riportare alla mente i vecchi slogan, le promesse mancate, i nomi degli inquisiti, i miliardi gettati in aerei da guerra e grandi opere inutili, le pensioni d’oro, le infinite collusioni, gli sprechi, le decine di processi bloccati da cavilli vergognosi, i tagli indiscriminati, la girandola di imposizioni e normative assurde e via discorrendo.
L’esercizio è utile per non lasciarsi ingannare dalle pressioni occulte o manifeste e dalle false promesse dell’ultima ora. Non deve però indurci a uno sterile pessimismo. E’ vero che ladri, incapaci e approfittatori sono presenti in tutti gli schieramenti, ma non è affatto vero che “tutti sono uguali”. Chi lo dice vuol solo nascondere le sue colpe, magari gravissime, dietro il paravento degli sbagli altrui, magari veniali.
Non votare o annullare la scheda vuol dire fare un regalo a chi intende continuare l’opera di progressiva erosione della democrazia in Italia. In fin dei conti, il voto, rimane una delle poche armi in mano al cittadino ed assume anche il significato scolastico di valutazione.
Non possiamo permetterci né la rassegnazione né il catastrofismo e neppure dare tutta la colpa al sistema o ai politici.   
Perché in democrazia le colpe sono condivise e se siamo caduti così in basso nessuno  può dirsi innocente o considerarsi assolto. Siamo tutti complici del passato, costruttori del presente e responsabili del futuro.
I tempi difficili non sono una scusa, anzi, se mai dovrebbero stimolarci a reagire. In un periodo ben più terribile Etty Hillesum, ebrea deportata in un campo di sterminio, riusciva a scrivere: “Vorrei tanto poter trasmettere ai tempi futuri tutta l’umanità che conservo in me stessa malgrado le mie esperienze quotidiane. L’unico modo che abbiamo di preparare questi tempi nuovi è di prepararli fin d’ora in noi stessi”.

Cervasca, 3 febbraio 013
Pubblicato su La Guida dell’8 febbraio 2013 col titolo: “Perché andrò a votare”
All’indomani delle elezioni mi rimane la tristezza di vivere in un Paese in cui quasi un elettore su tre ha ancora votato l’Innominabile, in cui “l’opposizione”, come al solito, si è suicidata avvallando la triste parentesi dei tecnici e dimenticando per strada giustizia e ragione sociale e in cui il “nuovo” in cui riporre speranze è il copione già visto di un populismo urlato e poco democratico.
Speriamo che questo serva almeno a regalarci un po’ d’aria pulita e a far capire ai leader della sinistra, maestri inarrivabili di ripetuti naufragi, che inseguire sogni liberisti, appoggiare ingiustizie, comprare bombardieri e imporre Alte Velocità non è solo  moralmente sbagliato: è anche perdente.