Canone in bolletta
Non ho la televisione, né l’ho mai posseduta, da quando ho l’uso di ragione. Nel bizzarro linguaggio da penitenziario dell’Agenzia delle Entrate, non “detengo” apparecchi atti alla ricezione del segnale. Ho sempre odiato la sottile invadenza del mezzo televisivo e i suoi effetti deleteri sulla capacità di giudizio autonomo e sulla socializzazione.
La tele accesa durante il pasto serale a cancellare ogni dialogo e assorbire ogni attenzione, voci estranee che uccidono il silenzio e bombardano il cervello di stimoli, immagini che gli occhi registrano senza neppure accorgersene, un rumore di sottofondo che appesantisce giornate già troppo piene e stressanti. Passare per una strada di sera e vedere i riflessi blu degli schermi televisivi occhieggiare da ogni finestra, ognuno a inseguire un suo canale puntando parabole verso lontani satelliti, mi è sempre sembrato una rappresentazione emblematica della solitudine che imprigiona, ai nostri giorni, uomini, donne e intere famiglie. Il nostro cielo non è più popolato di stelle luminose e visibili da tutti, ma di satelliti artificiali immersi nel buio che pilotano le nostre vite e le nostre coscienze. Una gigantesca fabbrica del consenso a uso di chi muove i fili della politica e dell’economia, un’arma di distrazione di massa che distoglie gli sguardi dai reali problemi per concentrarli su un universo artificiale, artificioso e artefatto. Il vero “oppio dei popoli” dei nostri tempi, che neppure il vecchio Marx poteva immaginare.
Lo scopo di questa chiacchierata non è però analizzare pregi e difetti della televisione. L’avversione per schermi al plasma e tubi catodici è, in fondo, un fatto personale: altri possono pensarla in modo diametralmente opposto. È la bellezza della varietà e non sarebbe il caso di parlarne se il tema non fosse di pressante attualità per la geniale trovata del Presidente del Consiglio di mettere il canone Rai nella bolletta della luce.
Presumere che abbia una tele chiunque sia allacciato alla rete elettrica è cosa priva di qualsiasi fondamento logico. È un’offesa al buon senso, al vocabolario, ai contribuenti e all’intelligenza di quegli italiani che in percentuale non trascurabile resistono alle lusinghe televisive e si ostinano a pensare con la propria testa.
Presumere è verbo che indica una conseguenza basata su una premessa. Se sono proprietario di una dozzina di Ferrari si può correttamente presumere che io non sia nullatenente: c’è una correlazione fra causa ed effetto. Nel caso in questione non c’è invece nessun nesso casuale fra le due proposizioni: si tratta, quindi, di una ipotesi illogica e insensata. Ma “presumere” è anche un verbo con molte facce: chi presume troppo rischia di diventare presuntuoso, peccato mortale da cui non mi sembra indenne chi ci governa.
Al di là dell’assurdità della “presunzione”, ci sono poi altri fattori che rendono molto grave una questione che può sembrare a prima vista solo un’ulteriore scocciatura e l’ennesima imposizione arbitraria a cui siamo purtroppo ormai abituati.
Il canone Rai è una tassa di possesso, non un abbonamento. Fa parte, quindi, dell’universo in espansione dei tributi, imposte, tariffe e balzelli vari: in altre parole del fisco. Una delle caratteristiche di un buon sistema fiscale è la semplicità e soprattutto la stabilità. Cambiare regole ogni quindici giorni, andare avanti con annunci a effetto, promesse e regali in salsa elettorale, procedere per successive improvvisazioni rende la vita difficile a tutti: contribuenti e amministrazione, controllori e controllati. L’esatto contrario della tante volte promessa semplificazione. Un regalo agli evasori e un ulteriore carico per tutti noi contribuenti, a cui non solo tocca pagare sempre più tasse per avere sempre meno servizi, ma anche seguire i capricci e le invenzioni estemporanee del governante di turno.
L’impressione è di assistere a certe scene ormai abituali in società, con il bambino petulante che tocca tutto, smonta il giocattolo senza saperlo poi rimontare, con la beata incoscienza di chi sa che gli inevitabili guai non ricadranno su di lui e che toccherà a qualcun altro togliere le castagne dal fuoco. In un mondo oppresso da un eccesso di programmazione (chi, come me, fa scuola sa bene quanto tempo si “perda” in riunioni preparatorie e nella progettazione) pare che gli unici che ancora possano permettersi continue improvvisazioni siano i nostri governanti. Si svegliano al mattino e zac!, si rifà il Catasto, si mette il canone in bolletta, si rende “buona” la scuola, si inventano imposte con nomi fantasiosi, si abolisce una tassa creandone due nuove, si regalano manciate di euro ai futuri elettori, si paga il cinema ai diciottenni, il teatro agli insegnanti, gli strumenti agli allievi dei Conservatori musicali.
Chi ci governa pare avere sovente troppa fantasia e nessuna immaginazione (i due termini, contrariamente a quanto potrebbe sembrare, non sono affatto sinonimi). Una grande fantasia per produrre continuamente novità mirabolanti e nessuna capacità di immaginare le conseguenze delle proprie strampalate invenzioni.
Mai poi che i problemi li risolva chi li ha creati. In genere il soggetto in questione è troppo impegnato a crearne di nuovi per rendersi conto delle difficoltà che ha prodotto. E poi, in fondo, l’importante è cambiare, non importa se in meglio o in peggio. Si contrabbanda per efficienza quella che è solo superficialità e mancanza di approfondimento dei problemi. Sembra quasi che la generazione di governanti che hanno “svecchiato” l’Italia sia venuta su leggendo i fumetti dei supereroi e si ritenga dotata dei poteri dei vari Superman, Uomo Ragno e Nembo Kid.
Prima che i comuni mortali abbiano terminato la colazione mezza Italia è già rifatta, il resto sarà finito dopo la pausa pranzo. Nel frattempo si svolazza in giro per il mondo col nuovo aereo presidenziale: una partita di tennis da vedere a New York, un po’ di jogging nei parchi di Boston, un selfie con gli ammiratori, un po’ di twitter. Tanto inglese da supermercato in salsa “social”, comunicazione per immagini, annunci a ripetizione. Ma, in mezzo alla cortina fumogena di questa politica da avanspettacolo, ben nascoste dal fuoco pirotecnico di promesse e polemiche, si concretizzano decisioni gravi che mettono serie ipoteche sul nostro futuro. Liberalizzazioni, privatizzazioni, grandi opere, cancellazione di diritti, eutanasia dei sindacati, demolizione dello Statuto dei lavoratori, modifiche profonde alla nostra Costituzione.
Il tutto nell’indifferenza e nella stanchezza generale, nel silenzio complice di molta stampa, ben protetti dal velo di nebbia a cui contribuisce attivamente quel mezzo televisivo che si presume che ogni italiano possegga e guardi con religiosa attenzione.
Il canone Rai è sempre stata una tassa malvista ed evasa anche perché la televisione pubblica non è mai stata un mezzo di informazione disinteressato e al di sopra delle parti, ma una struttura di propaganda al servizio di chi in quel momento governava l’Italia. Pagare per essere indottrinati non è simpatico e dover pure “scusarsi” per non possedere il mezzo lo è ancor meno.
Alla faccia della tanto declamata semplificazione, la dichiarazione a cui è obbligato chi, come me, è “obiettore di coscienza” televisivo non è neppure facile da fare. Il testo della legge è talmente mal scritto che il Consiglio di Stato l’ha respinto, l’Agenzia delle Entrate ha impiegato mesi a produrre un modello utilizzabile, per presentarlo in modalità telematica bisogna richiedere l’ennesimo Pin che l’amministrazione spedisce per posta (un po’ come abbinare a un jet una carovana di cammelli). Per via cartacea bisogna inviare una raccomandata (con relative code e costi) “senza busta” (forse una pergamena arrotolata con sigillo in ceralacca?). Insomma, il solito percorso a ostacoli e un valido compendio di ordinaria demenzialità burocratica.
Non si tratta, quindi, solo di avversione congenita per il mezzo televisivo o di fastidio per l’ennesima incombenza e vessazione a cui siamo sottoposti se, alla dichiarazione che sono obbligato a fare per evitare la tassa, ne associo un’altra. Due dichiarazioni al prezzo di una, ma quest’ultima non richiede complicati moduli. È sufficiente una riga per dichiarare che autori e corresponsabili di questa bella trovata non avranno mai più il mio voto.
Cervasca, 17 aprile 2016 Pubblicato su La Guida, maggio 016