Relazione del Brandizzo 7 Vernante
Brandizzo 7 Vernante
Vernante era un paese che contava “2700 anime di comunione” secondo il resoconto richiesto dal Brandizzo al vicecurato. In base a questo dato, l’Intendente calcola che il totale degli abitanti sia 3600, di cui però solo 900 “nel recinto del luogo, il rimanente sta nelle montagne”.
Una “cittadina” importante, quindi, all’epoca molto più popolata rispetto a Borgo e con una superficie comunale quasi tripla: 14075 giornate. Ma un paese con l’anima montanara, in cui la maggior parte della popolazione vive fuori dal concentrico e nelle borgate.
Anche il carico di bestiame è molto alto: “mille trecento capi di bestie bovine e 1200 bestie tra lanute e caprine”, oltre a una sessantina di muli. Un esercito di animali che richiede grandi quantità di foraggio, ricavato soprattutto dal “tenimento di piccole montagne comprese nei pascoli pubblici”. Si tratta di alpeggi in quota “chiamati in lingua del paese prati volarj ossia seissi” affittati a privati dalla Comunità, che ne ricava una discreta cifra. Nonostante l’altitudine e la lontananza, sono falciati e, assieme “all’erba ne’ boschi” e alla paglia dei cereali, permettono di mantenere il gran numero di animali locali e in transito.
Le numerose vacche alimentano “un grosso commercio di butirro, il quale viene per la maggior parte portato a Nizza”. L’Intendente, sempre attento ai flussi commerciali, calcola che “ne usciranno per quella strada più di 1500 rubbi”, cioè quasi 14 quintali.
Altro prodotto del paese è la tela: “una manifattura a cui si sono dati quei di Vernante”. Se ne fabbrica di due tipi, uno da 12 fili per utilizzo locale e uno da 700 fili, destinato all’esportazione e portato fino a Nizza, a Genova e in Sardegna. L’uso di queste “pezze” è abbastanza particolare e poco simpatico: “si vendono pel servizio delle nostre galere per far camicie e bersacchi de’ forzati”. In paese vi sono da 60 a 70 telai, quindi un numero significativo di famiglie integra i redditi agricoli con la dura attività artigianale. Un lavoro pesante, che per di più serve a confezionare le casacche dei forzati del remo.
L’impressione è che la relativa agiatezza dei confinanti “contrabbandieri” di Limone sia molto lontana ed è confermata dalle frasi conclusive del Brandizzo: “il vitto de’ rurali consiste per lo più nelle castagne”, raccolte in loco o comprate nei paesi vicini. “Quando mancano si servono di pan d’orzo e comprano della meliga e ne mangiano poi non già ridotta in pane, ma in minestra”. Una dieta poco attraente e varia, integrata probabilmente dai latticini e da poca frutta. Solo però mele e pere, perché “in paese non vi sono né viti, né noci, né mori celsi”, a causa del clima freddo.
Anche Vernante, come Limone, dipende come parrocchia dal lontano vescovo di Fossano. Il diritto di nominare il parroco appartiene, come nel comune confinante, a una famiglia locale, di cognome Guilliers. Il prescelto può abitare in un “bellissimo alloggio” e contare su un discreto reddito annuo, ma è tenuto a mantenere un vicecurato, un campanaro e a stipendiare un predicatore. In paese ha sede la solita Congregazione di Carità, erede dell’antica Confratria, e vi è anche un ospedale “in cui si dà il semplice letto e lume ai pellegrini”.
Oltre alla parrocchiale “evvi nel luogo un’altra bella chiesa, che spetta a una confraternita di fratelli vestiti di bianco”, sotto il titolo di Santa Croce. È “fabbricata di nuovo e molto vasta” ma “invece d’avere redditi si trova con debiti”.
La cappella della Vergine Assunta “detta la Vergine della Valle” è “fuori dal recinto del luogo” ed è meta di devoti pellegrinaggi da tutta la valle “Vermagnana”. Per questo, pur essendo priva di redditi fissi “perceve però tante limosine, che è in stato di fare molte spese”.
I redditi del parroco derivano, oltre che dagli affitti di terreni “immuni” e dagli “incerti dell’altare” (matrimoni, funerali, battesimi e altre cerimonie per cui è richiesto un compenso) anche da alcune curiose decime in natura: “chi tiene due vacche aggiogate paga emine due di spelta che è una sorta d’orzo, chi lavora a mano due coppi”. Inoltre “ogni particolare è obbligato di dare al parroco per primizie tutto il latte che raccoglie in un giorno di maggio”
Triticum spelta è in realtà una specie di farro, cereale antico oggi tornato in auge per le ottime caratteristiche di gusto e organolettiche. L’annotazione è molto interessante e dimostra che varietà di farro erano diffuse nelle nostre valli nei secoli scorsi. La riscoperta di queste colture dimenticate e di specie meno selezionate e “migliorate” rispetto al frumento attuale, può offrire interessanti prospettive per la cerealicoltura di montagna e di collina.
L’articolo su Vernante è frutto del lavoro degli studenti della 4F dell’ITA Virginio-Donadio, in particolare di Morena Tropini, insieme con gli insegnanti Anna Vivalda e Lele Viola. Pubblicato su La Guida del 21 aprile 2016