Relazione del Brandizzo 6 Limone
Brandizzo 6 Limone
La parrocchia di Limone a metà Settecento dipendeva dal lontano vescovo di Fossano, ma una famiglia del posto, di cognome Tana, aveva, per un antico diritto, la prerogativa di nominare il parroco. Erano frequenti, a quei tempi, queste commistioni di sacro e profano, una miscela variabile di interessi economici, prestigio sociale e incarichi religiosi.
Il Brandizzo ci informa che oltre alla parrocchiale, dedicata ai santi Lorenzo e Pietro, vi è in paese un’altra chiesa “assai bellina che spetta a una Confraternita di fratelli bianchi”, un convento dei Cappuccini con “6 sacerdoti, un chierico e tre serventi”, una Congregazione di Carità e un Ospedale dei pellegrini con una “picciola casa ben meschina” che serve anche “per i poveri del luogo”.
Limone è a quei tempi una piccola città molto popolata: gli abitanti sono 3200, più del paese di fondovalle, Borgo, che allora ne contava 2500. Il numero di persone, in mancanza di un’anagrafe statale o comunale efficiente, è fornito, come di consueto, dalla contabilità parrocchiale degli Stati delle Anime. È anche una cittadina ricca, grazie al commercio derivante dalla sua posizione strategica ai piedi del valico di Tenda.
Come la vicina Vernante, gode degli antichi privilegi ed esenzioni del contado di Nizza: non vi è gabella di “carne, corame e foglietta” e neppure di tabacco. Anche il sale è tassato molto meno del solito.
Insomma, pare di capire che Limone sia una sorta di “porto franco” e che anche per questo sia attraversato da un “continuo traffico” legale e illegale. Motore di questo incessante commercio è un esercito di ben 400 muli, il carburante è il fieno e soprattutto l’avena, la “biada da cavallo” che dava ai quadrupedi l’energia necessaria per affrontare carichi gli innumerevoli tornanti del colle. L’esercito di bestie da soma, sommato ai mille bovini e agli altrettanti ovicaprini richiedeva una quantità enorme di erba, fieno, frasche e paglia. Per questo, tutta l’ampia superficie comunale era sfruttata a fini foraggeri. L’Intendente annota che “il maggior prodotto di questo territorio consiste in fieno” e i prati sono “eccellenti” anche a causa della “bontà dell’acqua”.
L’importanza della qualità dell’acqua d’irrigazione per lo sviluppo delle colture è oggi poco presa in considerazione, mentre un tempo si era coscienti anche della sua funzione fertilizzante. I vegetali che mangiamo sono fatti soprattutto di liquidi e pare logico che la “bontà” delle acque irrigue sia una condizione per la qualità dei prodotti.
La richiesta di foraggio è tale che si falciano anche pascoli e boschi che “contribuiscono molto a questo sostentamento”, si dà da mangiare al bestiame anche la paglia di orzo e addirittura “chi ha dei campi cerca di ridurli a prati”. Cosa allora più unica che rara: l’esatto contrario di quello che si faceva in molti altri paesi di montagna, in cui, con enormi fatica si trasformavano interi versanti in campi terrazzati per poter garantire a una popolazione crescente il pane quotidiano.
Limone è quindi, da questo punto di vista, un caso particolare, diverso da tutti gli altri comuni delle valli, che erano indirizzati verso il raggiungimento dell’autosufficienza alimentare a qualsiasi costo. L’agricoltura, pur rimanendo il settore primario, era in funzione di mantenere il bestiame da soma necessario per il commercio, che, in tempi lontani dal turismo di massa, costituiva la vera ricchezza del paese. I guadagni dei traffici legali e illegali consentivano di procurarsi agevolmente il cibo quotidiano, senza doversi ostinare a strapparlo alla montagna, coltivando anche i precipizi. Lo prova la scarsa estensione percentuale dei campi e il fatto che il cereale più seminato non fosse la segale, allora primatista indiscussa delle colture erbacee perché produttiva, rustica e panificabile, ma proprio la “biada da cavallo”, il supercarburante che veniva dato ai muli in aggiunta alla normale razione di fieno in occasione dei grandi sforzi.
L’avena prodotta in loco non era comunque sufficiente per l’esercito di muli paesani e “quelli di Limone” compravano “quasi tutta la biada prodotta in valle Stura” per il tramite di commercianti di Borgo.
La fortuna di Limone era di trovarsi “sul passaggio della strada che conduce a Nizza”
“Droghe come zuccaro, caffè e pepe”, mercanzie come “i pesci, le frutte ed erbaggi del contado di Nizza” e soprattutto il preziosissimo sale arrivavano dal mare, mentre in senso opposto si esportava “la canapa e un poco di riso”.
Ma il commercio legale non era che la punta dell’iceberg e la vera attività degli abitanti era più nascosta e remunerativa. Lo ammette lo stesso Intendente: “siccome non bastano tutti questi articoli a dare dell’occupazione e del travaglio a tutti i 400 muli di Limone” ne deriva che “quegli abitatori siano dati allo sfroso universale”. Tradotto in termini correnti, il mestiere dei paesani era soprattutto il contrabbando di sale e di tabacco.
Attività che doveva essere più redditizia del semplice commercio, tanto è vero che molti cittadini di Limone erano possidenti. I ricavi del lavoro di uomini e muli era reinvestito (oggi si direbbe “riciclato”) comprando castagneti nel fondovalle e pianura, in particolare a Robilante e a Boves. Invece di portare soldi in Svizzera o negli innumerevoli paradisi fiscali sparsi per gli oceani, allora i commercianti di Limone trasformavano le fatiche e i rischi di uomini ed equini in emine di castagne. Ben 948 giornate di castagneti di Boves erano di proprietà di abitanti di Limone (quasi la metà del totale!), tanto che la Comunità aveva fatto un accordo con gli esattori locali per raccogliere le tasse dovute da questi “forestieri”.
Oltre a confermare che anche allora neppure i “contrabbandieri” sfuggivano al fisco, l’annotazione prova l’estrema importanza della castagna nell’alimentazione. Per molti abitanti delle terre alte, dove a causa della quota non crescevano “né castagne, né maroni” il sogno era comprare, con i risparmi di una vita, un appezzamento in fondovalle che garantisse la sicurezza alimentare alla famiglia.
Un sogno che gli abitanti di Limone potevano realizzare con maggior facilità rispetto agli altri contadini di montagna, grazie agli sforzi dei loro 400 muli e a una certa disinvoltura nel superare i confini, sia quelli politici tracciati sugli spartiacque, sia quelli più evanescenti rappresentati dalle norme fiscali dell’epoca.
L’articolo su Limone è frutto del lavoro degli studenti della 4F dell’ITA Virginio-Donadio, in particolare di Simone Dutto, insieme con gli insegnanti Anna Vivalda e Lele Viola. Pubblicato su La Guida del 14 aprile 2016.