L’efficacia della semplicità

La semplicità non è solo uno dei pilastri della nostra libertà e dei buoni rapporti reciproci, ma è anche estremamente efficace e produttiva. E quindi, per l’inesorabile legge della simmetria, qualsiasi eccessiva complicazione non solo ci appesantisce la vita, ma è pure controproducente. Produce, cioè, l’effetto esattamente contrario a quello desiderato. Troppe norme, quindi, non solo sono inutili e pesanti: sono dannose, non portano nella direzione desiderata. E questo vale anche quando, come spesso accade, lo scopo dichiarato del legislatore è rappresentato da una qualche parola “buona”.
Ambiente, salute, sicurezza sono concetti sacrosanti, urgenti, necessari. Ma spesso sono usati come paraventi e come pretesti e dietro a questa facciata buona si celano interessi ben precisi, economici o di altro tipo e sovente anche tanta, troppa ipocrisia.
Obbligare a cambiare parco macchine a ditte e privati, inseguendo la cifra che sta dietro alla sigla “euro” (ora siamo arrivati a sei, ma i numeri sono infiniti) serve solo ai produttori di automezzi. E neppure a loro, come confermano i dati di una grave crisi del settore. D’altra parte, ci vuole poco a capire che dover spendere decine di migliaia di euro per un mezzo che dopo un paio d’anni sarà superato e dichiarato non più conforme non è un grande incentivo all’acquisto. L’incertezza non è mai un fattore positivo, neppure in economia e questo chi ha compiti di programmazione e legislazione dovrebbe saperlo e tenerlo ben presente. La stessa incertezza e politica ondivaga che frena anche la transizione verso una mobilità elettrica a minor impatto ambientale.
Anche nel campo della sicurezza le norme, con relativi adempimenti, controlli e sanzioni, sono cresciute all’infinito, senza produrre sovente i risultati sperati.
Le morti e gli incidenti sul lavoro sono un aspetto doloroso, scandaloso e tristissimo dei nostri tempi e bisogna fare tutto il possibile per creare una vera sicurezza per tutti i lavoratori. In passato, le condizioni di sicurezza dei lavoratori erano molto precarie e in questo campo ci sono stati certamente progressi evidenti. Il numero dei morti sul lavoro è diminuito rispetto agli anni 60, ma questo calo è rallentato negli anni 90, e recentemente si sono registrati dati in netta controtendenza. La situazione è davvero drammatica e lo stesso Presidente Mattarella ha recentemente ricordato che “la sicurezza è una priorità permanente della Repubblica”.
La questione è molto complessa e delicata, ma sono convinto che anche in questo settore la semplicità sia un fattore vincente. Negli ultimi anni sono aumentati gli adempimenti, le norme, i controlli senza una proporzionale ricaduta positiva sulla reale sicurezza dei lavoratori. Il che dimostra che le misure adottate non sono sufficienti e neppure abbastanza efficienti e fa capire che sarebbe necessario percorrere anche strade diverse da quelle fin qui intraprese.
Insomma, non credo basti moltiplicare normative, commi, controlli, esami, patenti a punti, per creare reali condizioni di sicurezza sul lavoro.
Forse sarebbe utile pensare di più alla sostanza e meno alla forma, e magari anche dare fiducia al lavoratore e all’impresario, creando un clima di collaborazione fra controllati e controllori. In fondo, non avere infortuni, conviene a tutti, da tutti i punti di vista.
La vera sicurezza dipende da molti fattori: la calma nell’eseguire i lavori, l’esperienza pratica maturata, i tempi di riposo. In passato, gli anni di apprendistato e la lenta acquisizione di una vera professionalità garantivano una sicurezza sostanziale, che in tempi di precariato diffuso, appalti e subappalti, scadenze e vincoli pressanti diventa un lontano ricordo.
Senza voler entrare nel merito di questioni difficili e delicate, resto comunque convinto che aggiungere e creare sempre nuove complicazioni nella vita quotidiana di tutti non porterà mai nulla di buono, in nessun campo, e che la strada da percorrere sia una progressiva maturazione personale e sociale di tutti noi.
Vorrei terminare citando alcune frasi che la scrittrice Marguerite Yourcenar mette in bocca all’anziano imperatore Adriano e che penso si adattino molto bene anche alla nostra situazione attuale: “Bisogna che lo confessi: credo poco alle leggi. Se troppo dure, si trasgrediscono, e con ragione. Se troppo complicate, l’ingegnosità umana riesce facilmente a insinuarsi entro le maglie di questa massa fragile…Esse mutano meno rapidamente dei costumi, pericolose quando sono in ritardo, ancor di più quando presumono di anticiparli… Ogni legge trasgredita troppo spesso è cattiva; spetta al legislatore abrogarla o emendarla, per impedire che il dispregio in cui è caduta quella stolta ordinanza si estenda ad altre leggi più giuste.”
Dai giorni del saggio imperatore sono passati diciannove secoli, ma forse noi italiani non siamo poi cambiati molto da allora.
Forse, come diceva Umberto Galimberti, le norme risultano efficaci quando diventano psicologia collettiva. Una legge, cioè, è efficace solo quando la sentiamo nostra, la condividiamo nel senso pieno e alto della parola, non la subiamo come imposizione.
E, per tornare al punto di partenza, solo quando è “semplice”.

Pubblicato su La Guida del 31 ottobre 024