Ambiente e tessuto sociale
Ormai siamo tutti consapevoli che quando si devasta il tessuto urbano si devasta anche il tessuto sociale, che le brutture che costruiamo sul territorio si trasferiscono negli animi e nei rapporti. Armonia e disarmonia dell’ambiente in cui viviamo si riflettono nella vita del singolo e della comunità, sono insieme causa ed effetto di buone o di cattive relazioni, di serenità o di rancore, di cura o disattenzione.
L’architettura è lo specchio della vita, e come ogni specchio non tradisce ma non perdona. Se guardiamo una delle tante costruzioni degli anni settanta (infissi in alluminio color oro, intonaco “grutulù”, perline, rivestimenti in finta pietra) abbiamo un resoconto perfetto del periodo, in cui si stava consolidando il benessere economico successivo alla ripresa del dopoguerra, con le illusioni e gli inganni di una crescita troppo veloce e senza buone basi sociali e culturali. Allora, quelle villette e quelle palazzine che ora ci fanno storcere il naso ci sembravano bellissime, per la stessa ragione per cui molti in quegli anni hanno portato in discarica la vecchia credenza di noce massiccio per far posto a cucine componibili in formica e laminato.
Gli anni settanta e ottanta dello scorso secolo ci hanno lasciato spesso costruzioni affrettate, pretenziose e a volte, per i gusti attuali, decisamente brutte. Sotto questo aspetto siamo di certo molto migliorati, adesso costruiamo con più attenzione alla salubrità dei materiali, all’efficienza energetica e con più cura anche dell’aspetto esteriore.
I criteri di bellezza sono in parte personali e variabili, e dipendono dal periodo storico, dalle mode e dai gusti di ognuno, ma si fondano comunque su una percezione comune e condivisa, sui criteri di armonia di forme, colori e dimensioni. In genere, è bello ciò che è semplice, armonico e funzionale.
Ogni epoca e ogni situazione si rispecchia nell’architettura, sia nelle singole costruzioni che nel tessuto urbanistico: le pietre ci sanno raccontare la storia e l’antropologia meglio dei libri e questo vale sia per le umili case contadine della nostra montagna che per le costruzioni monumentali e i centri storici importanti.
Le chiesette romaniche del primo medioevo ci trasmettono una sensazione di solidità, di semplicità e di pace, le cattedrali gotiche dei secoli successivi ci raccontano di tempi più arditi, in cui la tecnica sfidava la gravità, la luce filtrata dalle vetrate colorate si sostituiva al buio delle navate, la fiducia sembrava prendere il posto della paura.
Le case in pietra delle borgate alpine ci parlano di una bellezza semplice e senza tempo, nata dalla fatica, dalla cura e dalla sobrietà, in cui ogni particolare aveva una sua funzione e nulla era superfluo, perfino gli abbellimenti e le poche decorazioni. Se si considera l’insieme di certe borgate non si può non restare meravigliati e commossi, per come ogni singolo componente, ogni casa, ogni stalla, ogni fienile, fosse funzionale all’insieme e inserito perfettamente in un contesto.
Il quadro è prodotto dalla somma di pennellate diverse, ognuna frutto della libertà e dalla capacità del singolo costruttore, ma ognuna funzionale a un insieme che risulta armonico. Il tutto nato non da un progetto, da vincoli imposti o da una pianificazione che pretende di dettare forme e colori, ma dal miracoloso equilibrio di libertà personale, esigenze funzionali, povertà di mezzi, capacità nel lavoro.
Cosa dicono di noi, della nostra cultura e del tempo in cui viviamo rotonde e capannoni, recinzioni metalliche e circonvallazioni?
È vero che nel cuneese, per molti aspetti, siamo in “un’isola felice”, ma è altrettanto vero che dobbiamo essere degni custodi di questa fortuna che ci è capitata, considerandola un tesoro da incrementare e non un’eredità da dilapidare. E, se pensiamo a com’era il nostro territorio dieci, venti, o trent’anni fa non possiamo non sentire il peso della responsabilità per quello che è capitato e che sta capitando.
Chi ama passeggiare nella cerchia di colline e montagne che circondano Cuneo avrà visto innumerevoli volte da svariate angolature l’orribile mole del palazzo degli uffici finanziari, un vero e proprio simbolo che pare riassumere tutte le caratteristiche negative che attribuiamo al potere politico: arroganza, invadenza, disarmonia, incuria.
Arrivando in treno a Torino il profilo del grattacielo della Regione disturba la vista e, a mio giudizio, peggiora ulteriormente quella che, con parola inglese intraducibile, definiamo skyline, il contorno di una città che si staglia contro il cielo.
Certo, non è rassicurante pensare che quegli stessi enti che dovrebbero tutelare ambiente e paesaggio siano stati artefici di scelte urbanistiche poco felici e molto impattanti, ma non possiamo cavarcela dando la colpa ai “soliti politici”.
La responsabilità è anche nostra, che non abbiamo fatto abbastanza per fermare il degrado. Dobbiamo tutti prenderci cura, ognuno per le proprie capacità, competenze e passioni, dell’angolo di “giardino” che ci è stato affidato.
Altrimenti, siamo tutti colpevoli del reato di “omessa custodia”.
Pubblicato su La Guida del 25-11-021 con altro titolo