Ipotecare il futuro
Dopo aver parlato a lungo (e forse in modo poco razionale e molto discutibile) del passato viene spontaneo dire qualcosa anche del futuro. Sul presente preferisco tacere, sia per non aggiungere parole alle molte che vengono quotidianamente spese sui fatti tristi e preoccupanti dei nostri giorni, sia per la difficoltà a vedere chiaro nel mare in cui si è immersi. Solo una certa lontananza permette la visione prospettica necessaria per tentare una comprensione dei fatti.
È chiaro, però, che parlare del futuro ha ancor meno senso ed è ancor più difficile e rischioso che avventurarsi in un’analisi del presente. Giocare a fare i profeti è poco sensato, senza contare che la stessa parola “profeta” ha un significato completamente diverso e molto più profondo di quello corrente. Ridurlo a sinonimo di “indovino” significa snaturare la sua funzione, che è piuttosto quella di interprete, di traduttore in termini correnti della parola divina. Il profeta adatta ai tempi, ai luoghi e alla cultura un messaggio universale che ha dimensione che supera il momento contingente e che ha radici nell’eternità. In questo senso, può anche anticipare i tempi e segnare strade nuove, e per questo, il vero profeta è quasi sempre condannato all’incomprensione in vita e all’eventuale rivalutazione solo postuma. Al contrario dei tanti “falsi profeti”, che godono già da vivi di piena considerazione e successo mediatico (oggi si direbbe che hanno tanti “follower”, termine inglese che associo sempre inconsciamente al piemontese “fol”).
Quando sento la parola profeta non mi viene in mente Elia, Geremia o Isaia, tanto meno la collego a Frate Indovino o Nostradamus. Profeta per me è stato don Milani, ma anche Gandhi e tanti altri, conosciuti o meno.
Parlare del futuro è quindi, per me, possibile, solo nel senso terra terra di rendersi conto di quanto il nostro presente, egoista e incosciente, lo stia ipotecando e compromettendo. Il verbo “ipotecare” è quello che rende più pienamente il significato, il peso e spesso la follia del nostro comportamento, personale, collettivo e politico. L’ipoteca è un diritto reale di garanzia a favore di un creditore, oggi di uso comune in caso di mutui su immobili. Un tempo era forse meno frequente e celava un aspetto quasi vergognoso. Si ricorreva all’ipoteca in caso di “cattivi debitori”, non degni di fiducia. Non per niente, il termine ha anche il significato figurato di minaccia, pericolo, gravame.
Di certo, “ipotecare il futuro” significa far pagare a chi verrà dopo di noi i nostri sbagli e i nostri eccessi. Un comportamento irresponsabile, egoista e miope che ci riguarda come singole persone, come collettività e come scelte politiche.
La cattiva abitudine ha radici ormai datate. Regalare una pensione a quarantenni, dopo “quindici anni, sei mesi e un giorno di lavoro” e magari pure conteggiando gli anni dell’università riscattati a prezzi di saldo, come capitava in tempi ormai remoti, dare un congruo vitalizio a deputati e senatori dopo una sola legislatura, contribuire alle ristrutturazioni edilizie con il 110% dei costi, regalare “redditi di cittadinanza”, spargere incentivi a pioggia (e gli esempi sarebbero infiniti) significa ipotecare il futuro. Significa anche “comprare” voti da elettori distratti e interessati, assicurarsi la benevolenza dei cittadini in modo da poter continuare a esercitare il potere. Colpa grave dei politici di diversa ideologia e colore, certo, ma colpa anche di tutti noi che stiamo al gioco e magari non andiamo neppure a votare “perché la politica ci fa schifo”.
Ma “ipotecare il futuro” si concretizza anche quando si incentivano o addirittura si obbligano i cittadini a gravi sprechi, usando magari la parola ambiente come pretesto, e soprattutto ogni volta che viene consumato suolo potenzialmente fertile per gli ennesimi capannoni o le sempre attuali grandi e piccole opere. Una recentissima statistica ci ricorda che proprio noi cuneesi siamo i peggiori del Piemonte nella triste graduatoria della cementificazione e della perdita irreversibile di suolo e questo dovrebbe spingerci a reagire.
L’ipoteca sul futuro dei nostri figli e nipoti non dipende però solo da politici e amministratori (che, per altro, abbiamo scelto noi), ma anche e soprattutto dai nostri comportamenti individuali quotidiani. Inutile lamentarsi del traffico e dell’inquinamento e poi continuare a bere ogni giorno acqua in bottiglia, di plastica o vetro che sia, usare l’auto per ogni minimo spostamento, acquistare oggetti inutili che finiranno presto in discarica. L’economia ci insegna che se c’è domanda di un bene l’offerta si adegua, e l’unico modo di frenare questa crescita esponenziale di consumi e inquinamento non passa certamente attraverso normative, divieti, limiti, obblighi, ma attraverso piccole decisioni quotidiane semplici e concrete.
Noi consumatori abbiamo un potere immenso, che può davvero cambiare il mondo: quello di non consumare. Dobbiamo esserne coscienti.
Pubblicato su La Guida del 7 novembre 024