La fragilità del male
In economia si definisce “effetto moltiplicatore” ed è uno dei pilastri della teoria di Keynes. La saggezza popolare ha condensato i difficili percorsi mentali degli esperti di finanza nel più immediato detto piemontese “’l sold fa sold” (e ’l pui fa pui).
Sia nella forma nobile che in quella corrente si tratta della medesima, ovvia constatazione. La ricchezza (soprattutto se condivisa) genera ricchezza, la miseria produce inevitabilmente altra miseria.
Il principio ha validità generale, ben oltre il campo della contabilità economica. L’odio genera altro odio, l’ingiustizia produce reazioni spesso ingiuste, la violenza crea altra violenza, in una spirale che arriva a quella fase finale che definiamo “guerra”. Una parola che usiamo per giustificare quello che altrimenti sarebbe ingiustificabile e punibile, legalmente e moralmente. In guerra “tutto è permesso”: le uccisioni, i ferimenti, la presa di ostaggi, le distruzioni, i ricatti, le violenze di ogni genere. Ogni civiltà della storia ha sempre punito severamente l’omicidio all’interno del clan o del gruppo etnico, ma approvato e premiato la medesima azione nei confronti del nemico. Anche la Bibbia (bellissimo testo in cui il divino emerge dal nostro umano) sembra apparentemente adattarsi a questa deriva: uccidere Caino è colpa grave, sterminare i Filistei merita apprezzamento e plauso.
La spirale violenta alimentata dalla guerra pare inarrestabile, ma per fortuna, lo stesso “principio moltiplicatore” vale anche per la pace, la gentilezza, la cura, la solidarietà. Ogni minimo gesto di fraternità e di concordia genera una reazione positiva, che tende ad accumularsi e crescere, e col tempo, riesce a prevalere sulle forze della violenza e della distruzione, solo apparentemente molto più potenti.
A prima vista, infatti, il male è incredibilmente più forte del bene, ma è anche “fragile” e si può rompere con relativa facilità. Per capire questo apparente paradosso basta un po’ di fisica spicciola. La scala di durezza dei materiali ci dice che i più duri, diamante, vetro e simili, sono anche molto fragili: basta un piccolo colpo per romperli. Al contrario, i materiali teneri, quelli che si scalfiscono facilmente con la semplice pressione di un’unghia, possono essere in realtà molto più robusti.
A questo proposito trovo insensato, oltre che vagamente offensivo, definire noi vecchietti come “persone fragili”. Chi lo fa, magari per la segreta convenienza di creare una società di “malaticci” a cui propinare cure e medicamenti vari, dimostra scarsa conoscenza della fisica e del peso specifico delle parole.
L’amore, in qualsiasi sua forma, è per definizione tenero e debole, l’odio e la violenza sono immensamente più forti. Ma come capita per vetro e diamante, la durezza nasconde un’intrinseca fragilità, un piccolo gesto contrario può incrinarlo e romperlo.
Nei giorni successivi all’attacco di Hamas e della successiva risposta israeliana i media ci hanno inondato di immagini e notizie terribili e tragiche, in un crescendo di violenza, bombardamenti, ritorsioni. Fra le mille notizie angoscianti può esserci sfuggita una piccola nota dell’Ansa del 24 ottobre, ripresa poi da giornali e video. La sera precedente Hamas aveva liberato due ostaggi, fra cui una signora di 85 anni. La prigioniera, anche se provata e reduce da un’esperienza devastante, al momento del rilascio aveva voluto stringere la mano al suo carceriere, salutandolo con la parola “shalom”, pace. Un gesto minimo, ma di grandissimo valore non solo simbolico, ma anche pratico.
Mentre i capi politici, da ambo le parti (Iran e Israele, per semplificare) sembrano impegnarsi quotidianamente per fomentare odio e violenza, una semplice vecchietta ha deciso di usare una parola e un gesto di pace per riportare la questione ai suoi termini umani. Anche in tempi di guerra e di terribile violenza, sembra volerci dire Lifshitz, possiamo coltivare gentilezza e comprensione, le nostre mani possono toccarsi, le parole possono abbracciare invece che ferire.
Un piccolo gesto, ma capace di innescare un principio di rottura nel durissimo ma fragile castello dell’odio. Un gesto di speranza, che ci dice che la pace arriverà da tutti noi, gente comune, se sapremo ostinarci a usare gentilezza e sorrisi al posto di insulti ed offese. Non certo dai capi di Stato, che continuano a fomentare guerra e divisioni, ben al riparo delle loro esistenze dorate e blindate.
E neppure, per tornare all’economia da cui siamo partiti, dal mondo della finanza, per cui la guerra è da sempre il migliore degli affari.
Pubblicato su La Guida del 16-11-023