Baio!

Anche se con un anno di ritardo è tornata finalmente la baio di Sampeyre.
Chi ha legami con la Val Varaita sa bene quanta importanza e che significato abbia questa ripresa. Col suo ritmo quinquennale, le baio scandiscono i tempi della vita personale e sociale, creano coesione (che nasce anche dalle inevitabili divisioni), fanno la storia delle famiglie, del paese e delle sue ruà.
Ho vissuto un anno e mezzo a Frassino, nel periodo ormai remoto del servizio civile da obiettore di coscienza e ho avuto modo di vivere da vicino, quasi dal di dentro, l’esperienza della baio, anche per i legami di amicizia con i coetanei di Rore.
Mi è poi capitato di imbattermi, facendo ricerche d’archivio, nel termine “badia” anche negli Ordinati del consiglio comunale di Castelmagno del Seicento e Settecento.
Mi sono chiesto, quindi, cos’è davvero la baio, al di là degli aspetti folcloristici o delle storielle più o meno convincenti sulla cacciata dei saraceni. Non è facile dare una risposta a questa domanda. Forse è più facile cominciare a dire quello che non è.
Non è una carnevalata, anche se quella di Sampeyre coincide col tempo di festa che precede la quaresima. Non è una sfilata folcloristica.
È qualcosa di radicato e profondamente sentito, sia a livello personale, che famigliare e sociale. Accompagna la crescita dei bambini, le tappe dell’adolescenza e giovinezza, il periodo dei corteggiamenti e dell’amore, quello della famiglia e della maturità, e infine anche la vecchiaia. Il tempo personale e comune, per le persone e famiglie coinvolte, si misura a baio.
Il termine “badia” ha parentela etimologica con abbazia, non tanto nel senso del complesso di edifici, ma in quello di comunità e struttura. Piero Dematteis, che la baio la conosce bene, la definisce “una festa alpina”. Ogni definizione è in parte vera, ma non esaurisce le molteplici sfaccettature di una realtà complessa, di cui molti aspetti restano poco conosciuti.
Curiosando nell’archivio di Castelmagno mi sono fatto un’idea della Badia locale, che ha molte somiglianze e qualche differenza con quella più famosa e longeva della val Varaita. Differiva soprattutto nei tempi, visto che si riuniva in estate, in occasione della festa di san Magno.
Il primo cenno l’ho letto in un Ordinato del consiglio del 1688 ed è un ordine tassativo ricevuto dal conte di Cartignano “signore del luogo” di “dover annichillare affatto l’abbadia” e “astenersi da ogni sollazzo”, a dimostrazione che la badia dava parecchio fastidio alle autorità di allora. Ogni forma di vera autogestione era ed è ancora malvista da chi tiene i fili del potere. La risposta del consiglio è diplomatica: “non dissente” dal volere del conte, ma non prende provvedimenti in materia.
Ma le baio hanno la pelle dura e alta capacità di resistenza. Oggi, con un termine forse abusato, si parlerebbe di resilienza: un secolo dopo, i conti di Cartignano non hanno più alcuna giurisdizione su Castelmagno e la badia, che volevano “annichillare”, è ancora in ottima forma. Nei verbali dei consigli di comunità si leggono spesso gli “stabilimenti della badia” con l’elenco degli ufficiali, dell’abbà, dei soldati: una precisa gerarchia e una turnazione che garantisce l’alternanza fra persone e famiglie.
La Badia di Castelmagno era una forma di espressione ed aggregazione popolare che aveva importanti funzioni: garantiva il mantenimento dell’ordine in occasione della festa di S. Magno, livellava le differenze sociali ed economiche fra famiglie e individui favorendo la coesione e l’integrazione di tutti, aveva una struttura gerarchica e ruoli precisi, per cui abituava i giovani a collaborare e ad assumere progressivamente incarichi di maggior importanza. Soprattutto, era un momento in cui tutto il paese si ritrovava unito, un’occasione autentica di vita comunitaria. Era anche un prezioso spazio di autonomia ed autogestione, parzialmente al di fuori del controllo delle gerarchie civili e religiose e come tale, nel corso del tempo, è stata oggetto di ripetuti tentativi di “annichilamento”.
Dalle letture, ormai di lunga data, degli Ordinati dei secoli scorsi dei nostri comuni mi è arrivata la convinzione che le badie avessero avuto in origine la funzione di vigilare sul rispetto dei beni territoriali e dei bandi campestri, sostituendo una forma di controllo autogestito delle risorse comuni a quello oppressivo di nobili e autorità, interessato unicamente a far cassa con le multe. In tempi in cui bande di bravi al soldo di signorotti locali imperversavano per le campagne, non è difficile pensare che le Comunità organizzassero milizie popolari per controllare il territorio e difenderne i beni. Non ho trovato riscontri su questo particolare compito di tutela dei beni comuni negli Ordinati di Castelmagno, ma è presente in altre Badie, come quella di Sambuco.
La stessa struttura gerarchica e militare delle Badie fa pensare a una qualche funzione difensiva. Da pacifista convinto e obiettore di coscienza (qualifica indelebile che non si perde col tempo) sono contento che le baio dei nostri giorni siano armate di fucili finti, violini, clarinetti e semitoùn e che quella di Sampeyre sia viva e vitale.
Anche far festa insieme è una forma di resistenza.

Pubblicato su La Guida del 16-2-023