Pompieri fuori tempo
Quando scoppia un incendio e arrivano i pompieri, l’uso di acqua ed estintori e l’eventuale abbattimento di porte o strutture pericolanti provoca spesso dei danni, che nelle pratiche assicurative sono definiti “da salvataggio” e compresi in genere nel risarcimento. Il danno dovuto all’intervento è considerato infatti funzionale ad evitare disastri maggiori, un male necessario per contenere gli effetti negativi dell’incendio.
È evidente a tutti che l’efficacia dell’azione di spegnimento dipende in buona parte dalla tempestività: se i vigili del fuoco arrivano troppo tardi e senza attrezzatura adeguata è difficile che riescano a impedire che l’incendio si propaghi e faccia danni.
La tempestività vale però nei due sensi: se infatti, oltre ad arrivare tardi e mal equipaggiati, i pompieri continuassero a inondare con tonnellate di acqua l’alloggio fino a far marcire intonaci, pavimenti e compromettere addirittura la struttura portante, ci si chiederebbe a ragione se l’accanimento nella loro azione sia giustificato.
Sia la prevenzione che gli interventi durante i sinistri fanno danni ed hanno un prezzo (non solo economico) e pare evidente che sia necessario riflettere sul rapporto fra costi e benefici. Non si tratta, naturalmente, di confrontare salute ed economia, vita e lavoro, in quanto entità di diverso ordine di grandezza, ma proprio di tener conto delle ricadute negative, spesso gravi e nascoste, che hanno normative, divieti e interruzione di servizi sulla salute fisica e psichica delle persone.
È chiaro a tutti che la salute non ha prezzo e anche su questo giocano coloro che hanno qualche convenienza espressa o più spesso ben mascherata (il termine di questi tempi non è casuale) a proporre o imporre le loro personali soluzioni ai vari problemi che ci siamo trovati ad affrontare. Ma è altrettanto evidente che la salute non è solo assenza di malattia, ma uno stato complessivo fisico e mentale, che non si può prescrivere per decreto né si ottiene moltiplicando in progressione geometrica norme e divieti e che dipende in buona misura dalle relazioni, dalla serenità, dall’assenza di stress.
Proprio lo stress, questo termine relativamente nuovo che potrebbe essere usato per definire l’era attuale, è uno dei fattori più negativi in assoluto per il buon funzionamento del nostro sistema immunitario (e, almeno su questo, mi pare che gli studiosi, in genere divisi su ogni possibile argomento, siano abbastanza concordi). Il nostro corpo reagisce a situazioni di stress producendo cortisolo, un ormone che, come il suo fratello sintetico cortisone, abbassa le difese immunitarie. Ormai tutti sappiamo che l’unica vera arma che abbiamo contro i virus è proprio il sistema immunitario (e i vaccini servono proprio a informarlo sulle caratteristiche dell’indesiderato ospite in modo da dargli tempo di reagire, producendo anticorpi).
Mi parrebbe saggio, quindi, almeno in questa fase matura della pandemia, smetterla di darsi da fare per produrre stress nella popolazione moltiplicando leggi e divieti, e cercare piuttosto di riportare serenità e buoni rapporti. La convinzione è sempre meglio della costrizione, non solo per un’inderogabile norma di democrazia, ma anche sul piano concreto dell’efficacia. Produce effetti migliori e soprattutto fa meno danni.
Fare di ogni erba un fascio non è mai cosa buona e neppure usare i termini in modo improprio e offensivo. L’etichetta di “no vax” usata come insulto e sinonimo di criminale serve solo a rimarcare in modo insanabile differenze, scavando fossati invece di costruire ponti, e finisce per ottenere esattamente l’effetto contrario a quello sperato.
La legge è in funzione dell’uomo e non viceversa, ricordava qualcuno già duemila anni fa, altrimenti finisce di diventare una prigione, invece che una casa ospitale. Norme nate per tutelare la salute possono fare danni proprio alla salute, se si perde di vista lo scopo per cui sono nate. Cosa possibile quando si seguono ciecamente i numeri e quando comitati tecnico-scientifici prendono il posto che spetterebbe alla politica.
“Non tutto ciò che conta può essere contato e non tutto ciò che è contato conta” diceva Albert Einstein, uno che di conti e di numeri se ne intendeva. Il grande fisico è ricordato per la teoria della relatività, ma questo non significa affatto che con quel suo aforisma intendesse dire che i numeri sono relativi, nel senso di poco affidabili. La matematica, come ogni scienza, è uno strumento, e come tale può essere usato correttamente o per fini distorti: un coltello può servire per sbucciare una mela o per aggredire il prossimo.
Col progredire delle conoscenze, dell’informatica, della statistica, la scienza è diventata sempre più dipendente dalla matematica, fino, forse, a correre il rischio di un’inversione dei ruoli. Come capita per molte altre cose, quella che è una buona serva può diventare facilmente una cattiva padrona e anche i numeri, se usati male, manipolati o considerati in senso assoluto (e non in relazione alle esigenze per cui devono servire) possono rendere un cattivo servizio alla verità.
La scienza attuale si basa sui numeri. Una volta che li ho, il gioco è fatto, basta metterli nel frullatore degli attuali programmi informatici di statistica avanzata e ne viene fuori il responso “scientifico”. Il problema può essere a monte, nel reperire correttamente e onestamente i dati, o a valle, nel saperli interpretare.
Anche la democrazia si basa sui numeri (proprio come il gioco del Lotto, aggiungeva Gaber). La geniale ironia del rimpianto cantautore riusciva a far capire, meglio di qualsiasi ragionamento, come a volte i numeri possano servire a dare una veste apparentemente corretta a una cosa sbagliata o casuale.
In questo ormai eterno periodo sospeso ci hanno ricoperto di numeri di ogni genere: indici, rapporti, percentuali. Ma tutti abbiamo la sensazione che non sempre ce l’abbiano raccontata giusta.
In ogni caso, c’è sempre qualcosa che sfugge alle statistiche e ai resoconti ufficiali. Ad esempio le vittime indirette della pandemia e delle norme connesse: i suicidi, le depressioni, i morti per cure mancate. La voglia di vivere e la possibilità di farlo in pienezza, libertà e serenità è da sempre la miglior medicina e solitudine, isolamento e imposizioni possono rompere i delicati equilibri di esistenze già difficili e disperate.
Qualche giorno fa ho letto un piccolo trafiletto in cui si dava in poche righe la notizia di un vecchietto novantenne che era morto cercando di scappare dalla casa di riposo, calandosi con le lenzuola dalla finestra. Una tragedia della solitudine e della disperazione che non si tradurrà in nessun numero, come tantissime altre che sfuggono alla contabilità delle vittime della pandemia.
Per tanti drammi di questo periodo non c’è neppure la magra consolazione di trasformarsi in un numero e contare qualcosa.
Pubblicato su La Guida del 27-1-022