Parlare di parole 2

In un momento come questo, con la pandemia che continua a far danni in tutto il mondo, l’economia a pezzi, la scuola imprigionata nei led degli schermi, la prassi democratica ridotta a un susseguirsi di decreti del Presidente del Consiglio, la microsocialità che ci aiutava a vivere (incontri, visite, abbracci, strette di mano) cancellata per prudenza e per legge, che senso ha perdere tempo a parlare di parole?
Io resto convinto che non solo abbia un senso, ma che sia proprio in momenti come questi che diventa necessario aggrapparsi alle parole e occuparsi del linguaggio.
D’altra parte, è proprio nei periodi difficili che possiamo toccare con mano quanti danni possano fare le parole sbagliate, superflue o usate male. Quanta confusione hanno creato e stanno creando i vari esperti che continuano a parlarsi addosso da tutti i palcoscenici possibili, barattando le loro inossidabili sicurezze con un quarto d’ora di precaria notorietà, quanti danni sta facendo la girandola di colori, norme, disposizioni e il continuo balletto dei numeri e dei dati che ci arrivano da ogni lato e da ogni fonte. In tempi di emergenza misure anche drastiche sono necessarie, ma sarebbe altrettanto necessaria la chiarezza, la coerenza e una certa stabilità normativa.
Nei momenti di pericolo le parole sono pericolose e dobbiamo fare la massima attenzione al loro uso, sia quando le ascoltiamo che quando le scambiamo o le produciamo. Con le parole si può seminare il panico o viceversa un’eccessiva e immotivata sicurezza, con le parole Trump ha spinto i suoi seguaci, tardivamente sconfessati, ad assaltare il Congresso, con le parole si possono creare i presupposti per le più terribili dittature (Hitler, Mussolini e Stalin ce lo dimostrano) o, al contrario, le basi per una società giusta e democratica.
Chi manipola le parole manipola anche le persone e viceversa, e proprio quando le cose si fanno difficili dobbiamo star molto attenti alle parole, alle “fregature” che possono contenere e alle conseguenze, a volte terribili, che possono produrre.
Il linguaggio è però anche il mezzo naturale che ci aiuta a crescere, a orientarci e, se necessario, a evadere dalle ristrettezze che ci impone la vita. In questo senso, le parole ci liberano e ci regalano orizzonti e respiri impensati e, proprio in questi mesi di chiusure forzate, ce ne siamo resi tutti conto. La telefonata o la mail di un amico, un libro riletto, le chiacchiere scambiate con chi ci capita di incrociare per strada possono cambiarci la giornata e aiutarci a mantenere l’equilibrio e il buon tono dell’umore. Tutti noi abbiamo qualche lettura, qualche incontro o qualche chiacchierata che ci ha cambiato la vita, ci ha aperto nuovi orizzonti, è stata determinante per farci diventare quello che siamo.
Wittgenstein, filosofo e logico austriaco, considerato uno dei massimi pensatori dello scorso secolo, scriveva che “i limiti del nostro linguaggio rappresentano i limiti del nostro mondo”. Se vogliamo quindi allargare i nostri orizzonti e non restare prigionieri di una quotidianità che in questi mesi per molti è diventata pesante, possiamo e dobbiamo usare le parole: leggere, scrivere, comunicare.
La parola è merce di scambio, come la moneta, e come tale ha senso solo se fatta circolare. Funziona solo nel momento in cui esce da noi e arriva a qualcun altro, se tenuta dentro può addirittura far danni.
Un’altra affermazione che si sente spesso, tanto da diventare un luogo comune, è che “la gente è stanca di parole”. Non sono d’accordo: non siamo stanchi di parole, ci siamo solo stancati, giustamente, di parole vuote, contenitori a perdere di pensieri altrettanto vani. Di parole piene, consistenti, importanti siamo tutti affamati.
Siamo stanchi non delle parole, che ci sono necessarie come l’ossigeno che respiriamo, ma del rumore di fondo, delle chiacchiere moleste, dell’inflazione di informazioni inutili che nascondono la verità. Siamo stanchi di dover far finta di leggere venti pagine scritte fitte ogni volta che rinnoviamo la polizza di assicurazione dell’auto, prendiamo le pastiglie per la tosse, compriamo un piccolo elettrodomestico, ci colleghiamo a internet.
Il modo migliore per nascondere una notizia è seppellirla in un mucchio di notizie, il sistema più efficace di non dare nessuna reale garanzia è coprire di frasi rassicuranti. Se ti fanno firmare una risma di moduli, non è mai per dirti davvero qualcosa di utile (per questo basterebbero due righe), ma per nasconderti qualcosa di indispensabile.
Al pari della moneta o di qualsiasi altra cosa preziosa, anche la parola soffre di inflazione e perde valore se usata in eccesso o inutilmente. Come diceva un saggio: “la parola è buona soltanto quando è un intervallo fra due silenzi”.
Spesso consideriamo il parlare e l’agire come due cose opposte e ci viene da contrapporre la concretezza dell’azione all’inutilità del parlare. In realtà, non è affatto così, anzi, è vero piuttosto il contrario. C’è una corrispondenza biunivoca fra parola e fatto, fra comportamento e modo di parlare. Parole di pace, simpatia, comprensione, si tradurranno in atteggiamenti di reciproco rispetto, creeranno amicizia, produrranno serenità. Viceversa, ogni parola violenta, invadente, maligna, grossolana non potrà non avere effetti pratici negativi.
In questo senso, possiamo iniziare da subito a cambiare il mondo, a “essere il cambiamento che vorremmo vedere”, come diceva Gandhi, cambiando semplicemente il nostro modo di parlare.
(continua)

Pubblicato su La Guida del 29-1-021