Ricordo di Ezio Bosso 3: esserci per gli altri/andare oltre

“Grazie Claudio” era il titolo del concerto straordinario che si è tenuto nel gennaio 2019 a Bologna, la città in cui Ezio Bosso aveva scelto di vivere, in memoria di Claudio Abbado, morto cinque anni prima. Un insieme di 50 musicisti, provenienti dalle principali orchestre europee, uniti dall’affetto e dalla riconoscenza per il loro “maestro” e guidati proprio da Bosso, erede spirituale e culturale del grande direttore scomparso.
Nello stile di entrambi, prove aperte al pubblico e clima di festa, ma anche la tensione necessaria “per dare tutto se stesso e andare oltre”, in modo da onorare la musica e la memoria di Abbado. Per Bosso, anche in considerazione dell’affetto e dell’amicizia che lo legava al maestro, oltre che per la qualità degli orchestrali considerati “i migliori del mondo”, era “il concerto più importante della carriera”.
Il cronista inviato a seguire l’evento si stupisce di vedere il direttore soffermarsi a parlare con la gente nell’atrio, scherzare con gli amici, sorridere a tutti, firmare autografi. “Pensavo di trovarti isolato per concentrarti prima del concerto” gli dice meravigliato della sua disponibilità anche in quei momenti. Ezio si ferma a parlare anche con lui, come se avesse tutto il tempo del mondo e gli regala uno dei suoi sorrisi, prima di dirgli: “io sono atipico, sono concentrato dentro, e poi per me esserci significa esserci per gli altri, non solo sul palco, ma anche per la strada, anche per te che ora mi fai queste domande…”.
“Esserci significa esserci per gli altri” è una frase che riassume in poche parole una filosofia e un programma di vita e conferma che la vera profondità è semplice e che la disponibilità è sempre una delle doti delle persone grandi.
Il concerto è davvero memorabile, l’Allegretto della Settima di Beethoven è un capolavoro assoluto e l’esecuzione ricorda quella di Abbado con i Berliner. Visto che la tecnologia ci regala opportunità un tempo impensabili, possiamo rivedere e confrontare le due versioni e coglierne differenze e somiglianze. Con questi livelli di eccellenza non è facile esprimere preferenze, ma sono convinto che la buonanima di Beethoven sia stata molto soddisfatta di entrambe le esecuzioni e si sia complimentata con i due direttori abbracciandoli con calore. D’altra parte, Ezio Bosso ricordava che l’espressione arcigna che colleghiamo alla memoria del grande compositore è frutto dei troppi mezzi busti che hanno ricalcato la sua maschera funebre: “Al di là dell’impegno tecnico, il mio ruolo è quello di spiegare che Beethoven non fa paura, anzi è bello, ci fa star bene, ci fa respirare più in alto, ci fa venir voglia di stare insieme, piangere, ridere, ci dà felicità, non è un mezzo busto incattivito…”
Per Bosso, che da giovane aveva anche suonato il basso con gli Statuto, non esistono graduatorie o differenti livelli di nobiltà in campo musicale: “La musica ha tanti dialetti, ma ha una regola fondamentale, che è la trascendenza”.
La questione non è che tipo di musica fai, ma come la fai, qual è il livello di intensità. Occorre “trascendere se stessi, che è il principio della poesia, del poiesis, del fare fino a non esserci”. Non si tratta quindi di “esprimere se stessi”, come è di moda oggi, ma di “andare oltre” e il mostrarsi in pubblico è solo la parte finale del percorso, non l’obiettivo.
Altro aspetto che caratterizza e definisce la musica è la sua capacità di renderci felici insieme: “la musica mi porta a quella gioia che ho voglia di condividere, sono un po’ come i bambini: quando imparo una cosa bella la voglio dire a tutti… già da bambino se avevo una merenda buona la distribuivo agli altri”.
La musica educa anche all’ascolto, ci rende capaci di ascoltare. Già Abbado insisteva con i suoi orchestrali perché vivessero la musica come un ascolto reciproco. La capacità di ascoltare (suoni, parole, sentimenti, espressioni) è una qualità che sembra essersi persa, sostituita da un approccio aggressivo, soffocata dai troppi rumori di fondo e da una concentrazione eccessiva su se stessi. Ma resta alla base di ogni rapporto, personale, famigliare, sociale, perfino spirituale.
La musica non permette esclusione perché “è l’insieme di tante voci che pur dicendo cose diverse creano un’unica grande armonia”.
Ci emoziona, ma non è solo emozione: “L’emozione può essere pericolosa, perché può essere una droga, un piccolo stato che ci rincuora, invece la parola ha una radice bellissima, cioè muoversi: l’emozione è una cosa che ci muove dentro, ci permette di andare oltre…oltre il corpo, oltre il pregiudizio”.
Ma Ezio Bosso non era solo musica, era anche una persona capace di un bellissimo sorriso: “bisogna ricominciare a fare gesti di gentilezza militante, e sorridere agli altri in realtà è sorridere a se stessi, i sorrisi sono contagiosi”. Raccontava dei mesi successivi all’operazione al cervello, della lenta ripresa e della felicità di “quando ho avuto la fortuna di reimparare a sorridere”. Sorridere fa parte anche di “quel diritto alla leggerezza, che non vuol dire superficialità” e che, anzi, deriva da una profondità interiore che si nutre di cose semplici.
In una delle ultime interviste, ad aprile, Ezio dice sorridendo che da quasi due mesi non esce di casa e non vede nessuno, poi ammette con preoccupazione: “mi fa paura il concetto di normalità, noi stiamo pericolosamente andando verso il principio che quello che facciamo è normale, che stare chiusi e lontani è normale, ma… gli uomini hanno bisogno di stare vicini, non esiste futuro senza vicinanza, senza stare insieme”. E, senza riuscire a nascondere un velo di tristezza, confessa: “Io senza la mia orchestra non ho accesso al suono reale. La musica è una terapia che in questo momento mi manca…”.
Chi lo conosce bene è convinto che proprio queste lunghe settimane di lontananza forzata dai contatti umani e dalla musica “reale”, quella vissuta dal di dentro, abbiano contribuito al peggioramento della sua salute e accelerato la fine.
Ci consola la certezza che il grande direttore era perfettamente consapevole che non esiste davvero una fine e che “quella che è l’ultima nota che suoni è la prima nota dell’altro e l’ultima nota scritta, quando finiamo un concerto, è la prima nota di chi esce fuori”.
In un’intervista di qualche tempo prima gli avevano chiesto se avesse una frase che amava ripetersi sovente e Ezio Bosso, col solito sorriso aveva annuito: “Sì, sì, c’è una cosa che mi dico spesso…che ho avuto una vita meravigliosa, e questa frase me la dico quando mi succede qualcosa di meraviglioso e quando mi succede qualcosa di brutto, me lo dico sempre, perché è la cosa più importante e aver avuto una vita meravigliosa vuol dire anche aver dato e amato tanto”.
Queste ultime parole credo possano condensare molto di una vita “meravigliosa” che ha avuto al centro la musica, ma che, usando un’espressione cara al maestro, ha saputo servirsene davvero per “andare oltre”.
Pubblicato su La Guida del 11-6-020