Città e paesi della Provincia di Cuneo nella Relazione del Brandizzo

Brandizzo 1 Introduzione
Bonaventura Ignazio Nicolis conte di Brandizzo era un tipo preciso, forse anche pignolo, ma di certo non era un burocrate, almeno non nell’accezione negativa che diamo oggi al termine.
Di mestiere faceva l’Intendente generale, carica che nel Settecento corrispondeva a quella dell’attuale Prefetto della Provincia, ma con molti più poteri rispetto ai giorni nostri. Di famiglia nobile, come usava allora nelle alte sfere della burocrazia sabauda (i suoi avi, oltre al feudo di Brandizzo, avevano comprato titoli a Vernante e Frassino) non era però neppure uno snob: si interessava di agricoltura e di artigianato con l’animo pratico del contadino e dell’imprenditore. Aveva doti di competenza, onestà e buon senso che oggi si trovano molto raramente riunite in coloro a cui sono affidati incarichi pubblici.
Come capita per molti personaggi grandi o piccoli della storia e della cultura, lo ricordiamo ancor oggi, a quasi tre secoli di distanza, grazie a qualcosa che ha lasciato scritto. Senza la magia della scrittura, capace di cancellare il tempo e lo spazio, ben poco resterebbe di molti grandi uomini del passato e dell’altrove, e il nostro mondo sarebbe enormemente più povero e triste.
Il testo che ci ha lasciato l’Intendente è un manoscritto di 800 pagine, una lunga e dettagliata Relazione su “ogni città e terra posta nella Provincia di Cuneo”, conservato nella Biblioteca Reale di Torino.
Biblioteche e archivi storici sono un po’ come le casseforti: conservano, ma nello stesso tempo rinchiudono, seppelliscono. Sono scrigni preziosi e utilissimi, ma ci vuole qualcuno che, di tanto in tanto, tiri fuori le opere, faccia prendere aria ai manoscritti e ai volumi, li faccia rivivere. In una parola, li resusciti. Come la Bella Addormentata della favola attendeva un principe azzurro di passaggio, così la parola scritta ha bisogno dell’attenzione e dell’amore di un lettore per risvegliarsi, per tornare alla vita vera.
Il lungo testo dell’Intendente si è risvegliato da un secolare letargo grazie alla signora Angelberga Rollero Ferreri, impiegata della biblioteca civica di Cuneo e appassionata di storia, che anni fa ha pazientemente copiato il manoscritto, rendendolo così disponibile per la successiva revisione del prof. Giuseppe Griseri e per la stampa da parte della Società per gli Studi Storici, Archeologici e Artistici della Provincia di Cuneo. Il prezioso volume, edito nel 2012, è ora a disposizione di tutti nella biblioteca di Cuneo e anche in altre biblioteche di paese.
La Relazione è uno straordinario strumento per capire la realtà, la vita e l’economia dei nostri paesi e città nella metà del Settecento.
La Provincia di Cuneo, all’epoca, era più piccola di quella attuale: non comprendeva albese, monregalese e saluzzese e contava solo 62 comuni divisi in 19 mandamenti.
Una delle tante leggi recenti, frutto dell’improvvisazione e della superficialità, ha decretato la morte delle province, col solito corollario di piccoli e grandi disguidi, di costi reali creati in nome di ipotetici risparmi e di vere e proprie tragedie. Un taglio che non tiene conto della storia secolare di questo prezioso ente intermedio fra stato e cittadini, con l’effetto indotto di ingrassare ulteriormente le già pingui regioni e di aumentare ancor di più la distanza fra amministrati e amministratori.
Nei secoli passati, invece, le province erano l’ossatura portante dell’efficiente burocrazia sabauda, che proprio nel Settecento andava rafforzandosi ed estendendo il suo controllo anche agli angoli più remoti delle valli. Lo Stato voleva conoscere le risorse di ogni comune, per i soliti fini fiscali. Per questo, il generale delle Finanze De Gregori aveva richiesto a ogni Intendente la compilazione di una relazione sul territorio di sua competenza, fornendo una traccia con quattordici dettagliate domande.
Dal 1750 al 1763 la carica di Intendente della Provincia di Cuneo fu assegnata a Bonaventura Ignazio Nicolis conte di Brandizzo (conosciuto da noi, abitanti di tempi affrettati e allergici all’eccesso di nomi che distingueva una volta i nobili dai poveracci, semplicemente come “il Brandizzo”). L’Intendente, appena arrivato a Cuneo dopo un analogo incarico a Susa, a differenza di altri suoi colleghi, aveva preso molto sul serio l’ordine ricevuto, lavorando ben tre anni alla stesura della sua Relazione.
L’opera del Brandizzo è eccezionalmente curata e ricca di notizie di buona attendibilità in particolare per quanto riguarda l’agricoltura anche grazie al metodo di indagine molto “moderno” e coscienzioso. Come scrive lui stesso, tutte le informazioni “io ho procurato di averle nel modo più sicuro possibile, interpellando non già nessuna persona apparente de’ luoghi, ma solo rurali…”.
Una ricerca quindi che va alle fonti primarie, senza accontentarsi di dati di seconda mano o forniti da persone estranee all’agricoltura e che non si limita alla raccolta di informazioni, ma le valuta con spirito critico e con grande competenza agronomica. Agricoltura e allevamento erano allora il cuore dell’economia e quindi al centro dell’attenzione delle autorità e il Brandizzo dimostra una conoscenza del territorio e una competenza tecnica davvero notevoli e ci fornisce uno spaccato della società settecentesca di grande interesse.
“Tutte queste notizie sono state da me prese insensibilmente e poco per volta” dichiara l’Intendente. Un’inchiesta basata su frequenti ricognizioni del territorio e su quello che oggi chiamiamo “sopralluoghi”: “mi sono portato sovra il Luogo del Luogo”.
Notizie prese direttamente dalla popolazione e dai contadini: un metodo che anticipa di un paio di secoli le inchieste basate su interviste dirette, diventate oggi un normale mezzo di studio per indagini sociologiche e antropologiche.
Una Relazione spesso critica anche nei confronti degli amministratori civili e religiosi, in cui i dati tecnici sono spesso associati a valutazioni molto libere e personali.
Dalla lettura traspare la figura dell’autore: un uomo onesto, competente, corretto e anche umano, capace di prendere le parti delle filatrici della strazza di seta soggette alle angherie dei rapaci gabellieri e di schierarsi spesso contro notabili e parassiti vari. E anche un bravo scrittore, soprattutto considerando i limiti e lo scopo della Relazione, che resta pur sempre un documento fiscale, zeppo di numeri e richiesto da un generale delle Finanze per scopi pratici. Un importante studioso, Giuseppe Ricuperati, ha infatti scritto che si intravvede nel Brandizzo “una qualche consapevolezza di sfiorare il genere letterario, o di fondare un modello”.
L’opera del Brandizzo è divisa per comuni e ci regala, oltre a una quantità incredibile di dati storici e tecnici, molti scorci di vita, annotazioni curiose, giudizi “spregiudicati”.
Ci permette di immaginare con molta verosimiglianza come fossero allora i nostri paesi e di fare confronti con la realtà attuale.
Nelle prossime settimane cercheremo di leggere e commentare insieme le pagine della Relazione relative a Cuneo e ad alcuni altri paesi delle valli.
Ho usato il plurale perché i prossimi articoli saranno il risultato di un lavoro collettivo di allievi e allieve della 4F dell’Istituto Agrario di Cuneo, insieme alla prof. Anna Vivalda, insegnante di storia, al prof Giorgio Ducco e al sottoscritto, insegnanti di materie tecniche.
Imparare a lavorare in gruppo è uno degli obiettivi di ogni buona didattica, ma non riguarda solo gli allievi. Siamo soprattutto noi insegnanti che dobbiamo sperimentare forme di collaborazione fruttuose, anche fra materie apparentemente distanti, come quelle tecniche e quelle umanistiche.
Questo vale soprattutto quando si vuole cercare di conoscere meglio il posto in cui viviamo. Territorio è infatti una parola complessa, che racchiude in un’unica cornice geografica aspetti che interessano scienze e discipline diverse: geologia, botanica, geografia, storia, antropologia, architettura, agraria, zootecnica…
Studiare un territorio vuol dire cercare di mettere insieme alcuni di questi saperi, che si intersecano e si compenetrano vicendevolmente: l’unico approccio possibile è quindi quello interdisciplinare.
I prossimi articoli saranno quindi il frutto di un lavoro condiviso in cui abbiamo cercato di affrontare insieme un testo antico per coglierne anche gli aspetti attuali. Saranno quindi firmati dai ragazzi che, in piccoli gruppi, hanno curato il lavoro. Di mia esclusiva responsabilità saranno solo le “divagazioni”, i commenti e le escursioni nell’attualità, che riflettono il mio personale pensiero e modo di vedere.
L’esperimento serve, a insegnanti e allievi, a “imparare” un sacco di cose: a leggere un documento, a diventare consapevoli della complessità dei problemi, a capire la centralità nel passato di agricoltura e allevamento, ad analizzare i cambiamenti nelle colture e nelle tecniche agronomiche, a scrivere un testo… Ma, soprattutto, ci serve per imparare a lavorare insieme.
Perché un’eventuale “buona scuola” non arriverà certo dalla bacchetta magica e dall’ansia di confezionare facili slogan di chi ci governa, ma dallo sforzo quotidiano di tutti noi.

Articolo introduttivo scritto a gennaio 2016 e pubblicato su La Guida del 3 marzo 2016