Andare per borgate 2

Andare per borgate è il contrario di certe passeggiate in quella periferia diffusa che ha sostituito la campagna a fare da intermezzo ai nostri paesi. Lì ci muoviamo fra continue costruzioni e infrastrutture e sovente dobbiamo camminare per delle mezz’ore per trovare qualche scampolo di prato rinsecchito sfuggito alla frenesia edificatoria attuale. Le borgate, invece, appaiono dopo lunghi percorsi nei boschi, spesso come visione improvvisa, macchie di pietra e lose che emergono fra gli alberi e i prati.
In periferia, i fabbricati soffocano la campagna fino a ucciderla, in montagna, gli edifici rurali antichi sono parte integrante del paesaggio e ne sottolineano la bellezza.
Eppure non mancano nei nostri paesi case nuove belle e funzionali, villette graziose, giardini curati. Il problema non è il nuovo o il vecchio: è la quantità e il contesto. Il troppo annulla ogni bellezza e la disarmonia del contorno rovina anche la piacevolezza della singola costruzione. Come se mettessi duecento quadri su un’unica parete, con l’effetto di creare una macchia informe di colori e cancellare l’eventuale pregio artistico di qualche opera valida mescolata alla massa delle altre.
Quello che rende belle le borgate, quindi, è anche il “vuoto” di manufatti che le circonda, riempito sapientemente di alberi, fiori e arbusti dalla natura e dalla fatica dell’uomo. Lo sforzo che si fa per arrivarci, l’attesa paziente riempita dal susseguirsi di passi, la sorpresa del loro apparire dietro una curva o dopo un colletto.
Ma non è solo questo.
La bellezza di molte borgate ancora intatte nasce da una profonda armonia, che è proprio l’ingrediente che manca alle parti “nuove” dei nostri paesi e cittadine.  Senza armonia ogni musica è dissonante ed è proprio quello che, spesso inconsciamente, ci disturba guardando i nuovi quartieri residenziali, le aree di recente urbanizzazione, le zone artigianali. L’armonia non è facile da ottenere e non è sinonimo di uniformità. E’ una miscela di diversi componenti sapientemente dosati.
Uno dei più importanti è senz’altro l’uso di materiali strettamente locali. Pietre, lose, legname hanno toni e colori perfettamente inseriti nel paesaggio semplicemente perché ne facevano già parte. Le travi che sorreggono i tetti erano alberi cresciuti poco lontano, le pietre arrivavano dalla ciapera più vicina. Le difficoltà di trasporto obbligavano a usare quello che c’era in zona e il risultato cromatico ed estetico era appunto armonico.
Inutile dire che questa soluzione era anche la più ecologica, rendendo minimi gli spostamenti di materiale e l’energia utilizzata per lo scopo. L’esatto contrario di quel che capita in questi tempi globalizzati, in cui si insegue sovente la merce a minor prezzo facendola arrivare da paesi remoti, senza calcolare le conseguenze in termini di inquinamento e sfruttamento. Così, nelle ristrutturazioni in zone alpine, capita di usare legname proveniente dai tropici e lose del Peloponneso per fare il tetto di una casa circondata da boschi e pietraie ricchi degli stessi elementi.
Oltre all’armonia dovuta all’uso di materiali del posto, c’è anche la bellezza intrinseca che emerge sempre dalle cose funzionali. Potremmo definirla la piacevolezza dell’essenziale. Il montanaro aveva poche possibilità di sprecare o sbagliare: tutto doveva avere un suo preciso scopo, non c’era nulla di superfluo. Questa assenza di cose inutili, o per dirla in modo diverso, la precisa funzionalità di ogni particolare costruttivo, contribuisce a rendere gradevole l’insieme. L’essenzialità, la mancanza dell’inutile, si traduce in apprezzamento anche estetico. Non sempre ce ne rendiamo conto, ma il nostro automatico e involontario giudicare brutto un ambiente è spesso dovuto anche a quel “qualcosa di troppo” che ce lo rende sgradevole. Nel nostro paesaggio cittadino gli esempi si moltiplicano: tralicci, cartelloni pubblicitari, bidoni delle immondizie, insegne, antenne, parabole. Tutto contribuisce ad appesantire un quadro che può diventare opprimente.
La sobrietà è appagante anche dal punto di vista estetico. Le borgate sono belle perché arrivano dopo il vuoto di elementi umani del percorso e ci raccontano una storia essenziale, fatta di poche parole: quelle necessarie.