Andare per borgate 1
Quando penso alla montagna, non mi viene in mente la piramide del Monviso innevato o il profilo inconfondibile del Corno Stella e neppure il calcare rosa delle Dolomiti o le immagini da cartolina del Bianco e del Cervino. La montagna “vera”, per me, è quella in cui vivono o vivevano donne, uomini e animali. La montagna antropizzata, per usare una parola poco comune ma precisa, quella fatta di sentieri, borgate, case, stalle, fienili, prati, alberi da frutto e da legna. E naturalmente, delle persone che la abitavano e ancora la abitano nel quotidiano e delle loro relazioni e attività, materiali e spirituali. Fontane, abbeveratoi, lavatoi; forni e mulini, osterie e negozietti. Ma anche scuole e cappelle, piloni votivi e cimiteri di borgata. E la rete senza fine di mulattiere, carrarecce, sentieri, viol e viasoei che incidevano materialmente sul terreno quell’intrico di rapporti che era la vita quotidiana nelle nostre valli.
L’autunno, la primavera e anche l’inverno sono le stagioni migliori per dedicarsi alla scoperta di questo mondo, così vicino a noi geograficamente e storicamente, ma ormai sovente così distante dal nostro quotidiano da richiedere qualche riflessione preliminare, prima di infilarsi gli scarponcini ai piedi e iniziare il viaggio.
Ho usato la parola “viaggio”, anche se per noi cuneesi si tratta spesso di gite fatte in giornata, quando non addirittura di scappate di poche ore ritagliate e incastrate fra gli impegni quotidiani. E’ parola che vuole sottolineare la dignità di queste ricognizioni anche brevi e la necessità di un approccio corretto e rispettoso. L’importanza di un viaggio non si misura con la distanza da percorrere, né con la scelta di mete esotiche o poco note. Sta tutta nella disposizione interiore e nella capacità di entrare “dentro” il mondo che vogliamo esplorare.
E ogni viaggio si prepara, perché è innanzitutto questione di conoscenza.
“Andare per borgate” nelle nostre valli vuol dire addentrarsi in un ambiente e in un paesaggio fatto di un intreccio inestricabile di natura e di umanità, di agricoltura e di storia, di architettura e di artigianato. Le pietre delle case, i ruderi, i tetti crollati, gli attrezzi abbandonati sono memoria di vita passata, restano impregnati di quell’eco delle vicende umane che chiamiamo storia. Quella vera, fatta dalla gente, non la cronaca di fatti e battaglie, di generali e di re che raccontano i libri. Lassù, nelle mille borgate abbandonate e diroccate delle nostre valli, la storia è ancora intatta, nascosta fra le volte delle stalle e il cielo aperto dei fienili. Basta fermarsi a leggerla, basta unire la pazienza del camminare a quella di capire, il piacere di scoprire al rispetto e all’umiltà che richiede sempre ogni tentativo di conoscenza.
Il piacere di muoversi a piedi o in bici, guadagnandosi la meta con la fatica dei propri muscoli, senza bruciare idrocarburi e avvelenare l’aria, senza pagare accise e tasse di circolazione, si unisce a quello di ritrovare quelle radici contadine e montanare che molti di noi si portano dentro, magari inconsciamente. La passeggiata diventa allora una cura contro lo sradicamento e un’infusione di calma esistenziale e ci fa ritrovare equilibri perduti o difficili da mantenere nella frenesia forzata delle nostre giornate. Ha funzione terapeutica e riequilibrante, ma anche didattica.
Camminando, scopriamo e impariamo. Perché quel mondo ormai quasi del tutto scomparso, quello che Nuto Revelli ha battezzato “Il mondo dei vinti” (e di quel libro fondamentale mi piace davvero tutto, meno il titolo) ha ancora davvero molto da insegnarci.
Di recente sono usciti preziosi libri di itinerari dedicati proprio a questo settore “minore” del turismo alpino, scritti con amore e precisione, nel solco dell’indimenticabile lavoro fatto da Piera e Giorgio Boggia in anni ormai lontani e la Guida pubblica regolarmente resoconti e proposte di passeggiate.
Vorrei contribuire a questo tentativo di conoscenza del nostro territorio con alcune chiacchierate introduttive.
Perché anche una gita di poche ore può diventare un viaggio importante. E ogni viaggio ha un prima, un durante e un dopo.
Il prima, cioè la preparazione, la conoscenza, lo studio è proprio la fase che ci permette di gustare meglio il durante e il dopo.