La democrazia della bicicletta
Nel 1916 il futurista Marinetti cantava le lodi della velocità, non solo come mito estetico, ma addirittura come valore religioso-morale: “la velocità…è naturalmente pura”, scriveva, e la contrapponeva alla lentezza “naturalmente immonda”. Si era in piena guerra mondiale, di lì a poco il fascismo avrebbe fatto suoi questi valori e avrebbe proiettato l’Italia, a tutta velocità, verso la follia imperiale, l’abbraccio col nazismo ed il secondo grande conflitto…
Sono sempre più convinto che ci sia una relazione profonda fra l’arroganza della velocità e quella delle dittature da una parte e la pazienza che richiedono lentezza e democrazia, dall’altra. Velocità e violenza, in fondo, sono due mezzi per fare in fretta, per affrontare le questioni di petto e con rabbia, pretendendo di risolvere tutto senza impegno e senza “perdere tempo”.
La democrazia, all’opposto, non permette scorciatoie. E’ per sua natura lenta e impacciata, non può fare affidamento sui mezzi spicci delle dittature; richiede pazienza e costanza, si costruisce solo con lo sforzo quotidiano di tutti.
Per questo sono completamente d’accordo con le parole profetiche di Ivan Illich che molti anni fa scriveva: “La democrazia partecipativa richiede una tecnologia a basso consumo energetico, e gli uomini liberi possono percorrere la strada che conduce a relazioni sociali produttive solo alla velocità di una bicicletta”.
E’ una frase straordinariamente densa di contenuti e diventa sempre più attuale ogni giorno che passa.
C’è una relazione inversa fra il livello di energia consumato da una società (necessario per “l’alta velocità” di qualsiasi tipo) e il grado di effettiva democrazia e giustizia. Velocità sempre maggiori comportano costi economici ed ambientali in crescita esponenziale con la conseguenza di un divario sempre più grande fra i pochi che se li possono permettere e i molti costantemente in ritardo. In altre parole, per far viaggiare più in fretta qualcuno, “l’alta velocità” rallenta tutti (e i pendolari di ogni ordine e grado trovano ogni giorno conferma di questo facile teorema).
La bicicletta non è solo il mezzo ideale per recarsi al lavoro e viaggiare, è anche il metronomo che detta tempi a misura d’uomo. E’ un perfetto compromesso fra l’esigenza di muoversi con efficacia e quella di rispettare l’ambiente e noi stessi. Soprattutto, ci permette quelle “relazioni sociali produttive” di cui parla Illich. Ci regala spazio e, cosa che a molti potrà sembrare sorprendente, anche tempo (e denaro, naturalmente, se qualcuno è interessato anche a questa variabile).
Su percorsi urbani inferiori ai dieci chilometri è concorrenziale con qualsiasi altro mezzo. Perché non è la velocità potenziale che conta, ma quella reale. E’ inutile avere auto da duecento chilometri orari e passare la giornata a fare la coda o a gironzolare a vuoto alla vana ricerca di parcheggiare senza versare l’obolo all’Apcoa. Il mito della continua accelerazione porta ad effetti esattamente opposti agli scopi prefissati: ci rallenta.
La velocità sempre crescente di spostamento non ha avuto l’effetto di regalarci più tempo libero. Al contrario, ha prodotto solo la conseguenza di ampliare il raggio del pendolarismo quotidiano, moltiplicando costi, pericoli e stress. Fra carburanti, lubrificanti, manutenzione, bollini di vari colori, revisioni, tagliandi, parcheggi, pedaggi, multe, assicurazioni, volture, bolli, e, naturalmente, l’acquisto – in comode rate, Tan e Taeg scritto in piccolo – e a cadenza non più che decennale, (visto che l’auto è considerata ormai un vuoto a perdere da sostituire il più in fretta possibile) molte persone devono impiegare buona parte della propria giornata lavorativa per pagarsi il lusso di poter andare al lavoro.
E non è solo questione di costi economici, di incidenti stradali, di inquinamento atmosferico. Il danno è anche psicologico ed esistenziale. La maggior velocità consentita da auto e moto (e richiesta dall’area sempre più vasta degli spostamenti quotidiani “obbligatori”) implica una velocizzazione dei ritmi consci e inconsci della vita. Si viaggia sempre di più, sempre più in fretta e si finisce, senza accorgersene, per vivere più in fretta. Il ritmo del nostro personale orologio accelera impercettibilmente, il tempo, invece di dilatarsi, si restringe fino a trasformare le giornate in un conto alla rovescia.
E’ l’effetto perverso e paradossale della meccanizzazione, che sarebbe un’ottima serva, ma si trasforma in una pessima padrona. Invece di regalarci tempo da godere e tranquillità, invece di permetterci rapporti distesi e appaganti, ci trasforma in schiavi della continua fretta, in automi costretti a una perenne corsa senza scopo. Il circuito quotidiano casa-scuola-figli da portare-ufficio-fabbrica- figli da recuperare-commissioni- casa ritma le giornate di molti svuotandole di contenuti e riempiendole di stress.
E maggiore è la velocità di spostamento, minore diventa la possibilità di incontro e minore, soprattutto, la qualità delle relazioni.
Se andando a lavorare a piedi (4 km/h) incrocio e saluto dieci persone, – e magari mi fermo pure a scambiare due parole con i conoscenti – già in bici (20 km/h) il numero degli incontri e dei convenevoli si divide per cinque, in proporzione inversa all’aumento della velocità. In macchina, poi, la gabbia metallica e la velocità maggiore impediscono del tutto le relazioni esterne: gli incontri si riducono a zero, e quando ci sono diventano “scontri”. Parola che ha un significato letterale, che nella migliore delle ipotesi si risolve con un contributo al giro d’affari del carrozziere, e un significato traslato, che implica comunque un elevato livello di aggressività relazionale.
I nostri rapporti col prossimo, quando stringiamo un volante, si riducono sovente a imprecazioni, maledizioni, improperi.
Stringere un manubrio è invece per il ciclista quasi un gesto d’affetto verso il proprio mezzo di trasporto che predispone a relazioni distese e a giornate sorridenti. La rotazione armonica dei pedali favorisce la circolazione sanguigna (oltre che quella stradale), ossigena il cervello smuovendone le nebbie, allontana malumori e depressioni.
La ripetitività del gesto ha inoltre la funzione di un mantra, un po’ come i tamburi di preghiera tibetani o i nostri rosari, capace di generare uno stato di calma esistenziale e di mitigare l’ansia.
La primavera entrante è stagione che invita a usare la bici. Insieme alle insalatine di tarassaco e sarsèt, la pedalata quotidiana è ottima cura depurativa per noi e per l’ambiente.
Ed è anche un piccolo contributo alla costruzione di una società più pacifica, giusta e democratica.
Cervasca 16-3-08 pubblicato su La Guida del 28-3-08